Dal made in Italy taroccato agli alimenti adulterati serviti nei ristoranti. Ecco a voi l’agromafia. Fattura ogni anno 14 miliardi. Ed è una criminalità che non conosce la crisi, dato che dal 2008 al 2014 è aumentato del 277% il numero di sequestri di alimenti illegali sequestrati dalle forze dell’ordine. Sono alcuni dati resi pubblici da Coldiretti nell’ambito del 14° Forum dell’Agricoltura e dell’Alimentazione. L’agromafia è l'appropriazione di vasti comparti dell'agroalimentare da parte della criminalità organizzata che, in molti territori, controlla la distribuzione e talvolta anche la produzione del latte, della carne, della mozzarella, dello zucchero, dell'acqua minerale, della farina, del pane clandestino, del burro e della frutta e della verdura. Un business che distrugge la concorrenza e il libero mercato legale, soffoca l'imprenditoria onesta e compromette in modo gravissimo la qualità e la sicurezza dei prodotti made in Italy.
Un’altra organizzazione molto attiva sul campo , Legambiente, denuncia che “specialmente nelle regioni del sud, sono migliaia i produttori che subiscono il controllo, attraverso minacce, soprusi ed estorsioni, della mano mafiosa. Quello rurale, poi, è un mondo dove, rispetto alle aree urbane, vige ancora molto forte l’omertà rispetto a questo tipo di dominio”.
L’agricoltura e l’alimentare sono considerate aree prioritarie di investimento dalla malavita che ne comprende la strategicità in tempo di crisi perché del cibo, anche in tempi di difficoltà, nessuno potrà fare a meno, ma soprattutto perché consente di infiltrarsi in modo capillare la società civile e condizionare la via quotidiana della persone in termini economici e salutistici. È peculiarità del moderno crimine organizzato estendere, con approccio imprenditoriale, il proprio controllo dell’economia invadendo i settori che si dimostrano strategici ed emergenti, come è quello agroalimentare. In questa opera di infiltrazione le mafie stanno approfittando della crisi per penetrare anche nell’imprenditoria legale.
Gli strumenti di contrasto sono nulli. Le forze dell’ordine hanno in mano solo l’arma dei sequestri della merce, come forma di controllo. Per il resto, come per i reati tipici di “Cosa grigia”, si tratta di condotte criminali con pene miti, prescrizioni brevi, assoluta certezza di farla franca. La Coldiretti, dal canto suo, ha istituito un “Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema alimentare”, alla cui presidenza è andato un uomo simbolo della lotta alla mafia, l’ex procuratore di Palermo, oggi in pensione, Giancarlo Caselli. Ma si tratta di poco più di un’iniziativa simbolica.
L’osservatorio non può fare altro che denunciare quello che tutti vedono: l’aumento dei prodotti adulterati, di quelli contraffatti o falsificati. Solo nei primi nove mesi di quest'anno i Nas - i carabinieri cioè del Nucleo Anti Sofisticazione - hanno sequestrato beni e prodotti alimentari per un valore di 318,7 milioni di euro tra cui carne (29%), farine pane e pasta (16%), latte e derivati (12%) e prodotti ittici (9%). Nel mirino anche la ristorazione, nella quale i sequestri hanno toccato il 15% del valore complessivo, facendo emergere in molti casi anche l'utilizzo di ingredienti low cost che, spesso, possono celare frodi e adulterazioni.
L’elenco dei prodotti falsi è lunghissimo: il finto vino Marsala, il finto parmigiano, le finte cotenne di prosciutto di Parma, l0 olio allungato con la clorofilla, fino ai contrassegni con marchi che evocano il Made in Italy. Le frodi sono all'ordine del giorno «consentendo un guadagno che va da 5 a 60 volte il costo della sofisticazione», hanno aggiunto da Coldiretti. Non è un caso che il 65% degli italiani sia convinto che la crisi abbia fatto aumentare i rischi alimentari e il 12% ammette di esserne rimasto vittima. Il tema delle agromafie è poi legato allo sfruttamento degli immigrati ni campi, con feomeni mai stroncati, come quelli del caporalato, che sono poi una forma di nuovo schiavismo :un immigrato impegnato, ad esempio nella raccolta delle olive, prende in Sicilia 12 - 15 euro al giorno, in nero, senza alcuna garanzia, e lavorando dall’alba al tramonto, dormendo per terra o nei fienili, con le donne che subiscono spesso violenza e abusi di ogni tipo. La lotta alle mafie è una lotta per lo sviluppo, non bisogna dimenticarlo, ed è una lotta che allo Stato sarebbe conveniente fare fino in fondo. Ad esempio, secondo la Cgil, il principale sindacato italiano, il caporalato in agricoltura ha un costo per le casse dello Stato, in termini di evasione contributiva, non inferiore ai 600 milioni di euro l'anno.
E’ allarmante poi l’aspetto sociale correlato alla ricerca di Coldiretti, che denuncia che il 61% dei disoccupati sia disposto ad accettare un posto di lavoro in un'attività dove la criminalità organizzata ha investito per riciclare il denaro, l'8% è pronto anche a commettere reati, il 18% non avrebbe problemi a comprare in un esercizio gestito dalla criminalità organizzata se potesse risparmiare (9%), se i prodotti fossero di ottima qualità (5%) o, addirittura, se solo fosse vicino casa (4%). Questi dati fanno il paio con il 63% degli italiani convinto che nelle zone con maggiore disoccupazione e povertà la criminalità abbia creato opportunità di lavoro e che il 58% non è disposto a pagare il 20% in più per un prodotto ottenuto da terre o aziende confiscate alla mafia. Di fatto, però, un italiano su cinque (il 17%) ha commesso piccoli furti perché costretto dalle difficoltà economiche: nascosti nelle borse sono passati nel 68% dei casi generi alimentari, nell'11% oggetti per i figli e per il 10% strumenti di lavoro.