“CENTO POET*” – chiamati dalla battagliera poeta Nadia Cavalera attorno alla sua stimolante e viva idea-progetto di umanità “femina”– si ritrovano come un compatto “noi” poetico attorno a lei e alla sua proposta costituente in itinere. È la proposta che per ora si è concretizzata nelle voci antologiche di “UMAFEMINITÀ- CENTO POET*. Nadia Cavalera, per ricordarla ai più, è la stessa poeta che a Modena ormai da anni porta avanti con successo il premio di poesia “A. Tassoni”.
L’antologia poetica, da lei voluta e curata, è il lancio di una progett-azione poetica di differenza e singolarità di stili di vita e coesistenza alternativi; e la sua coralità poetica vuole essere una poesia impegnata e mediatrice sul fronte di una “parola/lettera” volto nella direzione relativa del fine metamorfosante che auspica e persegue. Un’azione cioè che investe la parola come conatus politico-sociale modificante i luoghi comuni del “maschile”, quelli ormai fuori luogo quale aggregante persuasivo generale e attorcigliato nella spirale delle guerre del terrore, delle paure securitarie, degli infanticidi, dei femminicidi o, per dirla spinozianamente, delle “passioni tristi”, etc.
I poeti, ivi raccoltisi in attivo poetare plurale di soggetti diversi, condividono i propositi di questa interazione atta a modificare la condotta pratica delle relazioni umane concrete, lasciando che la teoria si faccia corpo e insieme comportamenti coerenti con le nuove pratiche di soggettivazioni non violente. Pratiche “foemine” sottratte all’arché (principio e dominio) del maschio, “invidioso” della potenza generatrice della “femina”(capovolgimento del dogma freudiano: la donna come l’essere che è invidioso del pene maschile; un maschio mancato?).
L’opera così avanza una proposta più che innovativa. È una vera rottura paradigmatica! Un taglio che tocca sia la lingua sia la praxis comunicativo-politica di ciascuno e tutti; e ciò a partire dall’innovazione linguistico-etica che si coagula nell’espressione titolata “UMAFEMINITÀ- CENTO POET* PER UN’INNOVAZIONE LINGUISTICO-ETICA” .
Che in questa antologia poi cento scrittori ribelli abbiamo messo la propria parola a valore d’uso cooperativo-antagonista-alternativo è cosa che può solo entusiasmare e anche, speriamo, contagiare. Del resto, in tempi post-fordisti, quelli cioè in cui la parola, la comunicazione, il linguaggio, le immagini, i desideri, gli affetti e i sogni… sono diventati la forza produttiva trainante e luogo di mercati competitivi e di borse borsaiole, nonché condizione ineludibile di cambiamenti e transizioni epocali planetari, non si vede perché la parola poetica (di per sé già una “macchina da guerra” semiotica e prassica non addomesticabile) debba essere esclusa da processi orientati alla produzione di comportamenti “alieni”, assumendosi, però, beninteso, una responsabilità etico-soggettivante di contro-condotte in lotta al mercenario e alle esistenze mercificate.
La rottura paradigmatica – già di per sé evidente sia nella scrittura della parola “poet*” (un asterico al posto di una vocale di genere), sia nella morfologia d’uso della parola “femina” (non femmina), sia nel neologismo “UMAFEMINITÀ” (che propone un modello di umanità riconvertita) – non vuole così essere solamente un’invenzione linguistica. Aspira soprattutto a una svolta epocale di “giusta tendenza politica” in quanto giusta comunicazione poetica nel tempo della comunicazione a gestione maschio-biocapitalizzata: “Mi dissocio da quanto avviene in questo mondo agli sgoccioli / Non nel mio nome i morti delle tante guerre volute e gestite dagli uomini / Non nel mio nome le vittime di infiniti soprusi politici economici sociali etici / Non nel mio nome la violenza la sopraffazione l'ingiustizia imperanti / Mi dissocio dall'UMANITÀ e rilancio la nascita di un nuovo nome / da cui ripartire per la costruzione di un'era nuova /Ripartiamo con l'UMAFEMINITÀ” (N. Cavalera, Introduzione, p. 9). E per questo Nadia scrive ancora che “Cento tra le voci più rappresentative, significative e attive del panorama nazionale […] dicono «no» coralmente agli obbrobri infiniti, senza soluzione di continuità, della umanità passata e presente e rilanciano il sogno dell'inderogabile cambiamento. A cominciare da un nome nuovo e più giusto che li identifichi: umafeminità. Un nome che, nulla togliendo all'uomo, rivendica un ruolo di visibilità alla donna. Nella speranza che l'uscita linguistica alla luce la spinga ad una maggiore consapevolezza di sé e responsabilità verso tutt*. […]” (Ibidem, p. 10).
Ma l’appello e l’invito all’azione metamorfosante, i “CENTO POET*” di “UMAFEMINITÀ”, in una con la pratica costante della virtù o della giustizia, li scrivono ricordandosi/ricordando che tutto ciò non è possibile se non nella pubblica pratica simultanea della pacifica coesistenza che curi e rispetti contemporaneamente sia la “madre Terra”, sia il bene collettivo e quello personale quale indifferibile e radicale valore del COMUNE democratico.
Antonino Contiliano