Informativa
Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy.
Se vuoi saperne di più negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie. I cookie ci aiutano a fornire i nostri servizi.
Utilizzando tali servizi, accetti l'utilizzo dei cookie. Cookie Policy   -   Chiudi
03/02/2015 08:20:00

Trattativa Stato - mafia. E' il giorno della deposizione di Conso al processo

Si terrà oggi la nuova udienza del processo sulla trattativa Stato-mafia, temporaneamente in trasferta presso l'aula bunker del carcere di Rebibbia, a Roma. Il 4 e il 5, invece, il procedimento si sposterà presso il Palazzo di Giustizia, sempre nella capitale.

In queste date verranno ascoltati, nella veste di testimoni, l'ex segretario della Dc Arnaldo Forlani, l'ex presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, gli ex capi del Dap Nicolò Amato e Carlo Alberto Capriotti nonché l'ex Guardasigilli Giovanni Conso.

Conso, nello specifico, potrà avvalersi della facoltà di non rispondere, essendo indagato di procedimento connesso.

Coinvolto nell'inchiesta sulla trattativa per la sua decisione, nel '93, di non rinnovare oltre 300 provvedimenti di carcere duro, venne interrogato dai pm anche sulla scelta di assegnare a Francesco Di Maggio (deceduto nel '96) l'incarico vice capo del Dap.

La risposta fu che era “una persona che andava un po’ in televisione, quindi era combattivo, era un esternatore e mi era parso molto efficace”.

Spiegazione che però non venne giudicata attendibile dai magistrati, tanto più che l'ex ministro finì indagato per false informazioni ai pm. Un reato che, secondo il codice penale, prevede la sospensione della posizione fin quando il procedimento principale non arrivi alla sentenza del primo grado.

Da parte sua, Conso continua ad assumersi la totale responsabilità dell'avvenuto, smentendo però dietrologie. “La mancata proroga di trecento decreti di 41 bis ai boss di Cosa Nostra fu una mia scelta e io non sono mai stato al corrente di una trattativa fra lo Stato e la mafia”, ha spiegato recentemente in un'intervista.

“Non ci fu alcun retroscena in quella scelta. Decisi io, perché così mi sembrava giusto”. E ancora: “Va detto una volta per tutte che i mafiosi più pericolosi non ottennero alcun beneficio: i boss hanno continuato a scontare la loro pena in regime di carcere duro, mentre gli altri, giudicati meno pericolosi, hanno continuato a scontare il residuo di pena in carcere normale”.

Una posizione che, se l’ex Gurdasigilli accetterà di rispondere alle domande dei pm palermitani, verrà molto probabilmente rimarcata in aula, dove Conso potrà contare anche sulla competenza del suo legale, l’avvocato palermitano Ermanno Zancla, esperto di diritto penale, diritto sanitario e malpractice medica.

Legale storico della memoria storica di Cosa Nostra corleonese, Franco Di Carlo, e non nuovo a processi illustri, questi: rappresentò, per esempio, la difesa di Franco Di Carlo nel processo riguardante caso Calvi, dimostrandone ampiamente l'estraneità all’omicidio del banchiere.

Altrettanto importante la sua partecipazione in parte civile al procedimento contro Dell'Utri, sempre rappresentando Di Carlo, conclusosi in Cassazione con una condanna a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa ai danni dell'imputato, e in quello per l'omicidio di Peppino Impastato.

Membro del Comitato Vittime sangue infetto, da anni porta inoltre avanti numerose cause per il risarcimento a quanti abbiano subito danni a seguito di trasfusioni, ed è coordinatore siciliano dell'Unione Forense per i diritti umani, nonché del progetto Libro Bianco Carceri.

Attraverso la sua professionalità e competanza, verrà inevitabilmente più semplice per Conso sostenere la propria estraneità ai fatti e la mancanza di dietrologie nella sua decisione del '93.

Confermando, di fatto, quanto sostenne l'ex Procuratore Nazionale Antimafia Pier Luigi Vigna, secondo cui l'ex Guardasigilli si pose il problema del 41 bis a prescindere dalla trattativa, di cui poteva non sapere niente.

Semplicemente, ritenendo il carcere duro non costituzionale, scelse di non rinnovarlo a carico di quelli che, continua ad assicurare l'ex ministro, erano soltanto “pesci piccoli”.