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14/03/2015 06:40:00

Il vero Islàm è l’opposto del terrore

di Massimo Jevolella - Ci sono momenti nella storia in cui sembra che ogni nostro sforzo per vivere in un mondo migliore si sia consumato invano. Momenti in cui la speranza rischia di morire soffocata dalla certezza che l’uso della ragione sia un privilegio riservato a pochi. Accadde dopo l’11 settembre, e sta accadendo anche in questi giorni, dopo il massacro di Charlie Hebdo e con le immagini quotidiane degli orrendi crimini dei terroristi dell’Isis. E allora ci aggiriamo storditi in mezzo a quello che ci appare soltanto come un campo di rovine in fiamme: l’odio che avanza, le atrocità e le crudeltà più aberranti squadernate senza pietà dai notiziari, la sensazione angosciante che il filo sottile della comprensione fra i popoli, le religioni, le civiltà, si possa definitivamente spezzare. Ed è proprio allora che bisogna reagire. Quello è il momento di ricominciare, con forza ostinata e perfino gioiosa, a credere con la mente e con il cuore nei diritti dell’uomo calpestati e derisi dal coro delle grida di guerra e dai grappoli delle bombe e delle raffiche di mitra. Perché lasciarsi sopraffare dalla paura significa dichiararsi sconfitti. Significa consegnare la vittoria ai seminatori di intolleranza e di terrore.

È il momento di guardarsi intorno e di vedere bene le cose come stanno. Andiamo allora dritti al cuore del problema, senza girarci troppo intorno. Sento dire da alcuni che l’Islàm ci vuole tutti annientare e sgozzare. Che il Corano è un libro funereo e sanguinario. Che l’unico modo per salvare la nostra civiltà è il ricorso alla guerra, “sola igiene del mondo”: parole che si erano già udite un secolo fa, in altri contesti, e con i risultati che ben sappiamo: 15 milioni di morti nella prima guerra mondiale, 71 milioni nella seconda, e senza contare ciò che avvenne tra le due. È dunque qualcosa di analogo a questo, se non di peggiore, quello che oggi noi veramente vogliamo? No di certo.

E allora? E allora esiste un modo più semplice dell’immaginabile, per reagire diversamente. Basta avere la voglia di conoscere e di capire. Tempo fa ebbi la fortuna di poter fare un lungo colloquio, a Rabat, con un gruppo di giovani donne “murshidàt”, le prime donne-imàm del mondo islamico, volute dal sovrano del Marocco. Mi dissero: «Non esistono indizi, nel Corano, che giustifichino usanze barbariche come la lapidazione delle adultere e il velo integrale delle donne, che ancora oggi vengono praticate in alcuni ambiti del mondo islamico, ma che assolutamente non si possono definire islamiche (così come non possiamo definire “cristiana” la sanguinaria caccia alle streghe perpetrata dai cattolici e dai protestanti fino alle soglie dell’età moderna). E non esistono veri punti d’appoggio nel Corano a sostegno degli estremisti cosiddetti “islamici” che propugnano una concezione oltranzista, brutale e terroristica del gihàd, lo “sforzo combattivo sul sentiero del Dio”, che spesso si definisce erroneamente guerra santa.» In effetti, e in modo molto esplicito, il versetto 190 della seconda sura coranica (il primo in cui s’incontra un riferimento al gihàd) dice: «E combattete sul sentiero del Dio quelli che combattono voi, ma non eccedete: invero, Iddio non ama gli eccessivi.» E questo vuol dire semplicemente che il ricorso alla guerra può essere giustificato soltanto come risposta a un’aggressione, e in ogni caso non deve giustificare la crudeltà, il fanatismo criminale, le violenze contro gli innocenti.

Nella primavera del 632, decimo anno dell’Ègira, il Profeta Muhammad compì il cosiddetto Pellegrinaggio d’addio alla Mecca. Tre mesi dopo, quando morì a Medina fra le braccia della sua moglie preferita, Aìsha, dopo avere investito del ruolo di imàm – quindi di suo successore o califfo nella guida dei credenti – il fedelissimo Abu Bakr, la giovane umma islamica era già pronta per dare inizio alla sua espansione travolgente verso il Vicino Oriente, l’Asia e l’Africa settentrionale. Ma non fu un’orda barbarica devastatrice. Le religioni monoteistiche furono rispettate, le culture dei popoli assoggettati non furono disprezzate e distrutte. Al contrario, l’Islàm creò per secoli un mondo in cui le civiltà, il pensiero, le scienze, le arti e l’economia presero nuovo slancio e sviluppo grazie, soprattutto, a quell’originario ideale di pacificazione, di unità e di giustizia, che continuava e continua a vibrare nel cuore profondo del Corano. Un ideale che ancora oggi è una speranza per il mondo intero, nonostante il delirio criminale e oscurantista delle organizzazioni terroristiche che in modo indegno e blasfemo si dichiarano “islamiche”, nel tentativo di offuscare il nome e la purezza dell’Islàm agli occhi dell’umanità.

A questi folli che credono di interpretare il vero significato del gihàd e della morale islamica, rispondono oggi nel mondo le centinaia di milioni di musulmani autentici, che traggono ispirazione dall’esempio della vita di Muhammad e dall’ideale abramico del hanìf, il “credente puro” che vede nella fede un fattore di unione e non divisione tra gli esseri umani. Senza dimenticare che l’Islàm ha dato vita nei secoli a una delle tradizioni mistiche più sublimi e universalistiche della storia umana: il sufismo. E fu un sufi, per esempio, il condottiero che nella prima metà del secolo XIX combatté strenuamente contro l’occupazione francese dell’Algeria. Fu il leggendario emiro Abd el Qader (1808-1883), che come il suo lontano predecessore Saladino concepì e praticò il gihàd non come brutalità vendicativa, non come ferocia e disprezzo della vita, delle idee e dell’onore dell’avversario, ma come un dovere religioso ispirato a moderazione, giustizia e pietà. Abd el Qader che suscitò l’ammirazione degli stessi nemici francesi che infine lo vinsero e lo imprigionarono nel 1847; e che nel 1860, dopo essere stato liberato, si batté con generosità a Damasco per fermare un folle massacro “religioso” scatenato dalle milizie dei sunniti più fanatici, e con il suo intervento riuscì a salvare la vita a dodicimila cristiani. Colpiti da tanta nobiltà d’animo, i francesi lo insignirono della gran croce della Legion d’Onore. Autore di meditazioni spirituali e di commenti coranici di eccezionale profondità, Abd el Qader scrisse: «Il sole diurno tramonta di notte, ma il sole dei cuori non scompare mai». Per dire che il messaggio spirituale del Corano è destinato a sopravvivere a ogni fraintendimento, a ogni storica strumentalizzazione. E per dire anche a noi, non musulmani, che il dialogo con “l’altro” non solo è necessario e possibile, ma può tradursi perfino in una meravigliosa e imprevedibile avventura.