L’aggressione delle mafie al Made in Italy gastronomico nell’anno dell’Expo raggiunge numeri impressionanti: 7.985 infrazioni penali accertate nelle varie filiere agroalimentari, oltre 21 reati al giorno, 14.917 denunce penali e 126 arresti, per un giro d’affari che, tra sequestri e finanziamenti illeciti intercettati dalle forze dell’ordine ha superato i 4,3 miliardi. Sono questi i dati sulla filiera illegale agroalimentare del Rapporto Ecomafia 2015 presentati in anteprima da Legambiente nell’ambito di FestambientExpo (il rapporto completo sarà presentato a Roma il 30 giugno).
Nel dettaglio, sono state 7.985 le infrazioni penali accertate nelle varie filiere agroalimentari, a fronte di quasi 200mila controlli effettuati dalle forze dell’ordine. Tale attività di controllo ha portato a 14.917 denunce penali e 126 arresti, con il sequestro di beni per un valore stimato di oltre 3,6 miliardi di euro. Cifra che schizza a più di 4,3 miliardi se si aggiungono anche il valore delle strutture e dei beni sequestrati, il valore delle sanzioni (penali e amministrative) e i contributi illeciti percepiti. Una vera impennata d’affari, otto volte la cifre dell’anno scorso, che oscillavano intorno ai 500 milioni di euro. Con ben 30 clan mafiosi censiti da Legambiente in questi anni presi con le mani in pasta. A tavola è seduto il gotha delle mafie: dai Gambino ai Casalesi, dai Mallardo alla mafia di Matteo Messina Denaro, dai Morabito ai Rinzivillo. La scalata mafiosa, rileva l’associazione ambientalista, spesso approda nella ristorazione, dove gli ingenti guadagni accumulati consentono ai clan di acquisire ristoranti, alberghi, pizzerie, bar, che anche in questo caso diventano posti ideali dove ‘lavare’ denaro e continuare a fare affari.
Di fronte a questi numeri impressionati, sottolinea Rossella Muroni, direttrice nazionale Legambiente, “abbiamo il dovere di impegnarci per liberare il cibo dalla presa criminale e dal malaffare. Le organizzazioni criminali sono tornate forti e sono tornate alla terra. E spesso a pagare siamo noi, in termini di salute, ma anche di denaro, perché in molti casi sono colletti bianchi a determinare il prezzo dei beni di prima necessità, sia a valle che a monte delle filiere“. Per Muroni, “occorre aprire una stagione nuova del cibo e dell’alimentazione perché l’alternativa, di fatto, già esiste: sono i nostri prodotti, le nostre eccellenze gastronomiche che uniscono etica all’estetica. Sta a noi assumere la responsabilità di informarsi e di rafforzare questi percorsi e sostenere, attraverso le nostre scelte di consumo, un diverso modo di intendere la produzione alimentare”.
Ma nel settore agroalimentare non operano, come è ovvio, solo i clan.Sono sempre tante le storie che danno il solito spaccato di un’imprenditoria truffaldina e pericolosa che viaggia al contrario di come si converrebbe, decisa a calpestare ogni legge per bieco fine di lucro. Un lungo campionario di contraffazioni, adulterazioni, sofisticazioni e truffe, che colpiscono soprattutto i marchi a denominazione protetta, il vanto dell’enogastronomia di qualità.
Impressionante, denuncia Legambiente, anche il numero di reati rinvenuti nel settore della commercializzazione e lavorazione dei prodotti ittici (oltre ai pesci, crostacei, novellame, molluschi e datteri): sono stati 5.934, hanno portato a 353 denunce penali e al sequestro di prodotti per un ammontare superiore ai 31,6 milioni di euro. Sono state 949 le strutture chiuse e sequestrate e più di 291 milioni i capi e le confezioni sequestrate. Il più alto numero di denunce penali è stato riscontrato comunque alle voci carni e allevamenti (761), seguito dalla ristorazione (751), latte e derivati (447), farine, pane e pasta (393).