Uno dei luoghi più comuni nella letteratura di base contro gli immigrati - le telefonate alle radio, i titoli di Libero, gli sfoghi sui social - è quel misto di stupore e di sdegno perché moltissimi tra quanti arrivano con i barconi sono muniti di telefono mobile, a volte anche di buona qualità.
La cosa è interessante perché tradisce la convinzione che il cellulare sia un oggetto se non da ricchi, quanto meno non da affamati, non da disperati; o forse addirittura un bene superfluo, uno status proprio di chi sta nella mid-class o ancor più su, come da noi negli anni Novanta.
Capisco la dispercezione, ma è appunto sbagliata.
Ogni giorno nel porto di Lomé, così come in altri centri commerciali africani, arrivano decine di migliaia di cellulari. Sono quasi tutti di produzione cinese o, in alternativa, scarti dell'Europa, vale a dire quei telefonini che noi abbiamo buttato via: molti dei quali non funzionanti, ma utili a metterne insieme uno che invece va benissimo se smontato e rimontato con i pezzi di altri.
Questo gigantesco import avviene perché in Africa (ma un po' in tutte le economie fortemente rurali e arretrate, comprese alcune asiatiche) la domanda di telefonini è enorme e dovuta all'uso decisamente diverso che se ne fa, rispetto a noi europei o americani.
Qualche tempo fa l'Economist dedicò al tema un piccolo approfondimento, avvalendosi di una ricerca fatta sul Kenya. In generale, in quei tipi di economia il cellulare è fondamentale non per chattare su Facebook o giocare a Ruzzle, ma per molte delle attività che garantiscono la sopravvivenza, in contesti dove tra l'altro la telefonia fissa è molto scarsa.
Con un cellulare, ad esempio, posso sapere dalla mia rete sociale (la vastissima "nuvola" parentale-amicale propria di quei Paesi) dove c'è erba per pascolare le capre e dove no; dove andare a recuperare l'acqua se il rigagnolo abituale si è estinto per siccità; da chi farmi prestare un mulo o un dromedario se non ce l'ho e devo fare un trasporto di legna perché la pioggia mi ha tirato giù mezza casa.
E così via: attività appunto di sopravvivenza. Così come di sopravvivenza è l'uso del cellulare per il trasferimento di denaro, uno dei punti più sottolineati dall'Economist, e sappiamo che l'arrivo o meno di soldi dai parenti emigrati è spesso decisivo per campare la famiglia intera. La stessa ricerca citata dal settimanale inglese rivela come il mantenimento del credito del telefonino sia diventato talmente importante da indurre molti a rinunciare perfino a mangiare con regolarità o ad altri consumi molto basic.
Non è uno scoop, è una cosa che chiunque abbia frequentato un po' i peggiori villaggi africani o asiatici ha visto con i suoi occhi: donne e uomini vestiti letteralmente di stracci, che dormono nella merda di capra, ma muniti di cellulare. E se la prima volta la cosa può straniare un po', basta fare tre domande per capire che non si tratta di una scelta eccentrica o consumista, ma molto pragmatica ed essenziale. Specie in villaggi dispersi in immense aree e collegati tra loro solo da sentieri da fare a piedi.
Quanto ai costi dell'hardware, anche qui si tratta solo di sapere alcune cose fondamentali, prima di indignarsi.
I cellulari in mano agli africani sono, di solito, cinesi o occidentali-rigenerati, ma ormai ci sono anche produzioni locali. Non si va certo a comprarli nei negozi in città (quelli con le vetrine), ma sulle bancarelle o attraverso le varie forme di commercio informale (il cugino dell'amico dello zio della vicina). In questo modo, si riescono a trovare device perfettamente funzionanti e a volte di marca tra i 15 e i 30 dollari. Calcolando uno guadagno medio della classe più bassa attorno ai due o tre dollari al giorno, si capisce che, con qualche sacrificio, nel giro di tre o quattro mesi quasi chiunque è in grado di acquistarne uno. Inoltre, ultimamente molte aziende che producono telefonini hanno lanciato modelli low cost (compresi alcuni smartphone) e Microsoft, ad esempio, su quei mercati propone un Nokia 215 a 29 dollari.
Ecco, quando vediamo un migrante sul barcone con il cellulare in mano, forse dovremmo sapere tutto questo. E magari anche che attraversare il deserto del Sudan e della Libia senza telefonino equivale a votarsi al suicidio sicuro: quindi se è uno strumento indispensabile per la vita quotidiana nei villaggi di fame, lo è ancora di più se da quei villaggi di fame si prova a uscire per tentare una vita altrove.
Alessandro Giglioli - Piovono Rane