Con la richiesta delle prove da ammettere al dibattimento (testi e documenti), la modifica del capo d’imputazione per una delle persone alla sbarra (Andrea Pulizzi) e una testimonianza, è stato avviato, davanti il Tribunale di Marsala, il processo a tre persone coinvolte nell’operazione antimafia “Eden 2”, che lo scorso 19 novembre ha operato un ulteriore giro di vite intorno al clan del boss latitante di Castelvetrano Matteo Messina Denaro. Alla sbarra sono i castelvetranesi Vito Tummarello, di 54 anni, e Luciano Pasini, di 27, nonché il marsalese Andrea Pulizzi, di 50. Tummarello e Pasini devono rispondere di una rapina messa a segno nel novembre 2013 ai danni di una agenzia della “Tnt” a Campobello di Mazara. Secondo l’accusa, la rapina avrebbe avuto come basista il Pasini, dipendente dell’azienda. "Regista", invece, sarebbe stato il nipote del boss Messina Denaro, il 37enne palermitano Girolamo “Luca” Bellomo, che davanti al Gup di Palermo ha chiesto il processo con rito abbreviato. In merito alla rapina, ha deposto il responsabile amministrativo della AG Trasporti, Calluso, che ha raccontato: “In sette o otto si sonn introdotti vestiti da poliziotti, ma con passamontagna. Hanno chiuso gli impiegati in un gabbiotto e hanno svaligiato un camion”. Tummarello è, inoltre, accusato anche di estorsione in danno del titolare di un ristorante-pizzeria di Castelvetrano, Giovanbattista Ligambi, costretto a sborsare, pare, il denaro dovuto per aver rilevato il locale. Il marsalese Andrea Pulizzi (che non è imputato per associazione mafiosa) è invece accusato di essersi introdotto nel sistema informato della Motorizzazione, di cui è funzionario, per “finalità estranee a quelle d’istituto”. In particolare, secondo l’accusa, avrebbe fornito (“In buona fede” spiega l’avvocato difensore Stefano Pallegrino) dati che potevano essere utilizzati per favorire la latitanza di Matteo Messina Denaro. Nel corso della prima udienza, comunque, la sua posizione si è alleggerita. Sulla base, infatti, di documentazione fornita dall’avvocato Stefano Pellegrino, il pm della Dda Maurizio Agnello ha chiesto la modifica del capo d’imputazione. Inizialmente, infatti, Pulizzi era accusato di avere fornito i dati a Francesco Guttadauro, nipote di Matteo Messina Denaro. Adesso, invece, l’accusa gli contesta di avere fornito quei dati ad alcune persone che a loro volta li hanno girati a Guttadauro. Gli altri avvocati difensori sono Giuseppe Ferro di Gibellina (per Tummarello) e Giuseppe Incandela (per Pasini). La prossima udienza si terrà il 23 settembre, alle 15. Libera si è costituita parte civile. A rappresentare l’associazione di don Ciotti è l’avvocato Domenico Grassa. Davanti al gup di Palermo, invece, lo scorso 20 maggio, oltre a Bellomo, hanno chiesto il processo con rito abbreviato anche Ruggero Battaglia, palermitano, 39 anni, i castelvetranesi Rosario e Leonardo Cacioppo, 34 e 38 anni, Giuseppe Fontana (detto Rocky), 58 anni, Calogero “Lillo” Giambalvo, 39 anni, ex consigliere comunale di Articolo 4 a Castelvetrano, Salvatore Marsiglia, 39 anni, Giuseppe Nicolaci, 32 anni, tutti e due di Palermo, Salvatore Vitale, palermitano, 37 anni, tutti soggetti in atto detenuti. Rito abbreviato anche per due collaboratori di giustizia, i palermitani, Salvatore Lo Piparo e Benito Morsicato 43 e 37 anni. Indagati a piede libero sono Marco Giordano, palermitano, 33 anni, Giovanni Ligambi, castelvetranese, 47 anni. Le accuse a vario titolo contestate nell’indagine “Eden 2” sono associazione mafiosa, rapina pluriaggravata, estorsione, sequestro di persona, traffico di sostanze stupefacenti, detenzione e porto illegale di armi e altri reati aggravati dalle finalità mafiose. L’operazione, spiegarono lo scorso novembre gli investigatori, costituisce “un’ulteriore fase di un’articolata manovra investigativa avviata dai carabinieri nel 2009, che ha già portato all’arresto di 48 esponenti di riferimento del ricercato trapanese e al sequestro di beni per un valore complessivo di 88 milioni di euro (operazioni “Campus belli”, “Mandamento” “Eden”). Le indagini, dirette dal procuratore aggiunto della locale D.d.a., Teresa Principato, e coordinate dai sostituti procuratori Carlo Marzella e Maurizio Agnello, hanno accertato le ulteriori attività illecite del mandamento mafioso di Castelvetrano, documentando il ruolo di vertice di Francesco Guttadauro, figlio di Filippo e Rosalia Messina Denaro, alla guida della famiglia di Castelvetrano, fino al suo arresto avvenuto nel dicembre 2013. Guttadauro, con l’autorizzazione formale dello zio Matteo Messina Denaro, arrivata anche tramite i soliti “pizzini”, avrebbe riorganizzato la struttura criminale con nuove affiliazioni e l’avvio di un “pervasivo e rigido controllo del territorio attuato con metodi violenti e intimidatori”. Avvalendosi del cognato Girolamo “Luca” Bellomo e di un “agguerrito gruppo criminale”, avrebbe dettato “nuove modalità operative incentrate anche sulla consumazione di rapine ed estorsioni nei confronti di operatori economici locali, intimiditi con danneggiamenti, percosse e finanche sequestri di persona”.