“Inammissibile”. E’ quanto ha sentenziato la Cassazione in merito al ricorso della Procura di Marsala contro il provvedimento del Tribunale del Riesame che in febbraio revocò le ordinanze di custodia cautelare in carcere per le cinque persone arrestate il 13 gennaio dai carabinieri di Mazara per l’omicidio dello spacciatore tunisino Riadh Srat. Questi fu freddato con cinque colpi di pistola, a Capo Feto, la notte del 10 giugno 2010. Ad agire, secondo gli inquirenti, sarebbero stati due gruppi arrivati sul posto per discutere con Srat, visto a quanto pare come un pericoloso concorrente, di affari relativi allo spaccio di stupefacenti. In carcere, lo scorso 13 gennaio, erano finiti i marsalesi Vincenzo Galia, di 51 anni, Giovan Vito Romeo, di 31, Gisella Angileri, di 29, il mazarese Giovan Battista Mangiaracina, di 36, e il tunisino Ibnmahjoub Arafet, di 33. I cinque furono rimessi in libertà dal Tribunale del Riesame, su istanza degli avvocati difensori, circa 20 giorni dopo. Agli arresti si arrivò a seguito delle dichiarazioni di una donna che ha raccontato di essere arrivata sul luogo in cui fu commesso l’omicidio insieme alla vittima e che si è salvata nascondendosi tra la vegetazione circostante. “Anche per la Suprema Corte – commenta, infatti, l’avvocato Diego Tranchida, uno dei legali dei cinque indagati tornati in libertà una ventina di giorni dopo l’arresto – non sussistono i gravi indizi di colpevolezza. Del resto, non poteva essere ritenuta credibile una teste che ha cambiato versione ben nove volte. Anche il procuratore generale, nel suo intervento, ha ritenuto inammissibile il ricorso della Procura di Marsala contro la decisione del Tribunale del Riesame”. Nel corso delle indagini sull’omicidio Srat, i carabinieri hanno detto di avere acquisito preziose notizie sul mondo dello spaccio a Mazara, arrestando in flagranza di reato altre 15 persone e sequestrando oltre 600 grammi di eroina e 400 di hashish. “Srat era un fornitore di una certa rilevanza” spiegò il procuratore Di Pisa nella conferenza stampa tenuta lo scorso 20 gennaio. “Si era fatto un giro di affari molto ampio – aggiunse il pm D’Alessandro – in quanto vendeva sostanza stupefacente a credito”. E fu, forse, proprio questa sua abitudine a costargli la vita. A questo punto, però, non è più certo chi l’abbia ucciso. L’indagine riparte daccapo.