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16/11/2015 06:20:00

Comincia a Marsala il processo per tre arrestati nell’operazione antimafia "The Witness"

Comincia oggi a Marsala il processo per  tre dei quattro arrestati nell’operazione antimafia “The Witness” (9 marzo scorso). Davanti il Tribunale di Marsala, dovranno difendersi dall’accusa di associazione mafiosa il vecchio “uomo d’onore” Antonino Bonafede, 79 anni, padre dell’ergastolano Natale Bonafede, Martino Pipitone, di 65, ex impiegato di banca in pensione, entrambi in passato già arrestati per mafia, e il 53enne pastore incensurato Vincenzo Giappone. L’indagine, condotta dai carabinieri, è stata coordinata dal procuratore aggiunto della Dda Teresa Principato e dal sostituto Carlo Marzella. Secondo l’accusa, Antonino Bonafede avrebbe “ereditato” il bastone del comando in seno alla famiglia mafiosa marsalese dal figlio Natale, in carcere dal gennaio 2003 con una condanna definitiva all’ergastolo. Agli atti anche le dichiarazioni dell’ergastolano Francesco De Vita, in carcere dal dicembre 2009 per l’omicidio di “Vanni” Zichittella, che poi decise di fare marcia indietro, negando tutto e smettendo di collaborare. “In ogni caso – dice un inquirente - le altre prove acquisite sono sufficienti a sostenere l’accusa. Il giudice, comunque, nonostante il passo indietro di De Vita, ha disposto l’ammissione delle sue dichiarazioni al fascicolo”. Per gli inquirenti, Antonino Bonafede, nuovo “reggente”, al quale in gennaio sono stati confiscati beni per oltre 4 milioni di euro, assieme a Giappone, “provvedeva alla raccolta del denaro provento di attività illecite, poi conferito al “mandamento mafioso” di Mazara e ai familiari di affiliati detenuti, come Amato Giacomo, uomo d’onore marsalese condannato all’ergastolo”. Giappone sarebbe stato il cassiere della “famiglia” e il “primo collaboratore” di Bonafede senior. Martino Pipitone, definito “anziano esponente di rilievo della consorteria mafiosa marsalese”, avrebbe esercitato la sua “sfera d’influenza nel centro storico”. E con Sebastiano Angileri deve rispondere anche di intestazione fittizia di una società operante nel commercio all’ingrosso di materiale ferroso (società intestata alla moglie di Angileri). I militari, poi, sono riusciti a monitorare “il passaggio del denaro tra gli affiliati, che era solitamente contenuto in buste di carta e indicato dagli stessi con l’appellativo di malloppo”. La famiglia mafiosa, inoltre, al fine di mantenere il controllo del territorio, si sarebbe interessata al recupero di refurtiva sottratta a persone vicine all’organizzazione criminale, a dirimere controversie tra agricoltori e pastori e a contrastare l’apertura di nuove attività commerciali che avrebbero potuto fare concorrenza a quelle di soggetti mafiosi o vicini a Cosa Nostra. Dalle indagini, infine, è emersa l’appartenenza alla famiglia mafiosa Baldassare Marino, assassinato a colpi di arma da fuoco, nell’entroterra di Strasatti, il 31 agosto 2013. Coinvolti, come detto, nell’indagine della Dda anche il 48enne fabbro marsalese Sebastiano Angileri e la moglie Vita Maria Accardi, il primo accusato favoreggiamento e intestazione fittizia di beni, la seconda solo di intestazione fittizia. Angileri fu arrestato e poi scarcerato, la moglie, invece, soltanto denunciata. Entrambi hanno chiesto di essere giudicati con rito abbreviato e il gup Aiello li ha condannati a due anni (Angileri) e a un anno e 4 mesi (Accardi) di reclusione. Escludendo, però, l’aggravante di attività in favore della mafia. Si sarebbe trattato, dunque, di favoreggiamento personale semplice.

E potrebbe essere emessa oggi un'altra sentenza nel processo che vede imputata per intestazione fittizia di beni, Bice Maria Messina Denaro, sorella del boss mafioso latitante Matteo Messina Denaro, e il marito Gaspare Como. Per quest’ultimo il pm ha invocato 4 anni e mezzo di carcere. La condanna a 3 anni e mezzo, invece, è stata chiesta per Bice Maria Messina Denaro. Tre anni e 4 mesi, poi, sono stati chiesti per Valentina Como, sorella di Gaspare, e 3 anni per Gianvito Paladino. Non doversi procedere per prescrizione, invece, per un’altra sorella di Gaspare Como, Giovanna Como. Secondo l’accusa, allo scopo di evitare la possibile confisca da parte dello Stato, i coniugi Como-Messina Denaro avrebbero intestato fittiziamente alle sorelle Como una ditta che si occupava della vendita di capi d’abbigliamento e a Paladino un’auto Wolksvagen Tuareg sequestrata nel 2012. L’inchiesta è stata svolta dalla Dia di Trapani. A difendere gli imputati sono gli avvocati Claudio Gallina Montana, Celestino Cardinale, Giuseppe Ferro e Vincenzo Salvo.