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18/11/2015 06:30:00

A Roma, per rompere il silenzio sulla trattativa Stato - mafia. Il racconto

Rompere il silenzio sulla trattativa Stato-mafia non è cosa facile.

Nonostante i tragici fatti di Parigi, sabato scorso a Roma un fiume di persone ha percorso via dei Fori Imperiali fino a piazza SS. Apostoli.

Salvatore Borsellino, dopo un primo tentennamento, ha scelto di non sospendere la manifestazione. “Siamo in guerra anche qui . Una guerra per la verità e la giustizia” ha detto il fratello del giudice ucciso in via D’Amelio nel ’92. Dalle istituzioni, alle quali era stato chiesto un cenno di vicinanza e sostegno per Nino Di Matteo, è arrivato soltanto il messaggio del presidente del Senato Piero Grasso, a sottolineare che la mafia non riuscirà a fermare il lavoro della magistratura.

Silenzio invece da parte del presidente Mattarella e di Renzi, che non ha reputato opportuno scrivere nemmeno un tweet.

La manifestazione si è svolta pochi giorni dopo l’assoluzione di Calogero Mannino, secondo il vecchio dispositivo dell’insufficienza di prove. Quel Calogero Mannino che il 21 dicembre del 2011 si trovava in via degli Uffici del Vicario, a 500 metri di distanza in linea d’aria dal palco montato sabato scorso in fondo a piazza SS. Apostoli.

Vicino ad una pasticceria, 4 anni fa, Mannino parlava con l’ex Dc Gargani: “Hai capito, questa volta ci fottono: dobbiamo dare tutti la stessa versione. Spiegalo a De Mita, se lo sentono a Palermo è perché hanno capito. E, quando va, deve dire anche lui la stessa cosa, perché questa volta ci fottono. Quel cretino di Ciancimino figlio ha detto tante cazzate, ma su di noi ha detto la verità. Hai capito? Quello… il padre… di noi sapeva tutto, lo sai no? Questa volta, se non siamo uniti, ci incastrano. Hanno capito tutto. Dobbiamo stare uniti e dare tutti la stessa versione”.

A fumare una sigaretta seduta al tavolo all’esterno del locale, c’era però Sandra Amurri de Il Fatto Quotidiano, che sente la conversazione e racconta tutto ai magistrati. Risultato? Mannino la insulta sui giornali accusandola di essere una mitomane e una spia dei servizi segreti russi o tedeschi. La giornalista gli fa causa ma viene condannata a pagare 15 mila euro di spese legali: indebita interferenza nella conversazione privata dell’onorevole.

Il silenzio è difficile da rompere.

Ma sabato scorso su quel palco c’è anche Sandra Amurri:Contrariamente ai premurosi consigli ricevuti, che sarebbe stato meglio che io non parlassi, perché sono testimone del processo sulla trattativa – ha detto la giornalista - in quanto ho riferito una conversazione sull’onorevole Mannino e l’onorevole Gargani, io sono qui perché un testimone deve parlare. Altrimenti che testimone è? A Mannino, assolto in primo grado, nessuno ha rivolto una domanda: ma lei non prova un po’ di vergogna, visto che la Cassazione nel 2014 ha accertato i suoi rapporti con un boss mafioso che gli aveva promesso il suo sostegno elettorale e gli aveva dato tutti i suoi contatti affinché questo potesse accadere? In un paese libero (e non in un paese capovolto) sarebbe avvenuto. Ciò che ho fatto lo rifarei e spero che tutti lo facciano perché, ancor prima di ciò che si fa nella vita, si è una persona, un cittadino. E, come diceva Nietzsche, ognuno di noi diventa ciò che è”.

Sul palco di Roma parlano in tanti. Da Ferdinando Imposimato a Rita Dalla Chiesa, Oliviero Beha, Saverio Lodato, parenti di vittime della mafia. Tante le lettere di vicinanza arrivate: Flores D’Arcais, Giancarlo Caselli, Alex Zanotelli e molti altri. Però mancano gli organi dell’informazione ufficiale. “Non è libera – dice Salvatore Borsellino – è asservita. Molta stampa segue pedissequamente le direttive del potere, che sono chiare attraverso il loro silenzio”. Ma tra le migliaia di persone accorse per sostenere Nino Di Matteo e gli altri magistrati che indagano sulla trattativa, c’è anche Vauro Senesi: “A rompere il silenzio sono le persone che trasmettono coscienza – ha detto al nostro microfono – e che considerano la latitanza, il silenzio della politica e anche di parte delle istituzioni, come omertà. Io penso che ci sia una volontà popolare di mantenere viva l’attenzione sui fatti che hanno stravolto la storia del nostro Paese”.

E proprio per mantenere viva l’attenzione, Michele Santoro ci dice che tra i progetti di cui si sta occupando, ce n’è uno che riguarda proprio la trattativa. Non sembra molto preoccupato dei problemi cui potrebbe andare incontro, dopo quelli già avuti per aver parlato in passato della trattativa e del maresciallo Saverio Masi, al quale sarebbe stato impedito di catturare Provenzano e Matteo Messina Denaro: “Sono tanti anni che abbiamo problemi e combattiamo per affrontarli – ha risposto Santoro – in fondo fa parte della nostra identità. Siamo giornalisti scomodi e questo ruolo lo svolgiamo fino in fondo. Ma siamo particolarmente fieri per aver dato un contributo importante a far venir fuori degli elementi della storia del nostro Paese che non erano conosciuti prima”.

Il silenzio è difficile da rompere.

E mentre il corteo avanza con striscioni e slogan a sostegno di Di Matteo, chiediamo alle persone comuni se sanno della trattativa e dei magistrati che se ne occupano. I risultati non sono incoraggianti e dimostrano che il silenzio resiste, al punto che Di Matteo viene addirittura scambiato per un personaggio politico dei Cinquestelle.

E sull’informazione che non va, al nostro microfono Giulietto Chiesa sottolinea come “coloro che parlano in televisione ingannano la gente, impedendole di capire”. Ed il web non basta. “E’ il ricettacolo di molte persone intelligenti e di miliardi di imbecilli, che non sanno assolutamente nulla”.

Al corteo c’è anche Alberto Airola (M5S) che sull’assoluzione di Mannino risponde: “Penso che sia l’ennesimo tentativo di togliere carburante a quest’inchiesta, che è fondamentale per lo Stato italiano”. Secondo Paola Taverna (M5S) invece “questo è il momento per ricordare che ci sono tanti problemi. E questo è uno fondamentale”.

Il silenzio è difficile da rompere.

Soprattutto quello delle “istituzioni ostili - come ha sottolineato dal palco Ferdinando Imposimato – Diventate ostili da quando Di Matteo è stato condannato a morte nel 2012 da Totò Riina, dall’interno di un carcere”.

Imposimato ricorda anche il procedimento disciplinare a cui è stato sottoposto il magistrato “per aver dato valore alle conversazioni tra un ex ministro e un ex presidente della Repubblica che si chiama Giorgio Napolitano. Conversazioni ritenute dallo stesso Di Matteo, rilevanti e pertinenti”. Anche Falcone e Borsellino, ha ricordato Imposimato, hanno dovuto subire procedimenti disciplinari a ripetizione.

Nino Di Matteo non è presente. Salvatore Borsellino legge un suo messaggio dove, tra le altre cose, viene rimarcato il senso di una lotta alla mafia che non può essere disgiunta dalla lotta alla corruzione: “Facce della stessa medaglia, di un sistema criminale integrato che mortifica quotidianamente i diritti, le aspettative e i sogni degli onesti”.

Il silenzio è difficile da rompere.

Ma chi ne è il primo responsabile? Imposimato non ha dubbi: “Giorgio Napolitano. E’ l’ex presidente della Repubblica. Colui che ha impedito che noi conoscessimo il contenuto di quelle telefonate”.

Resistenza!” urla Salvatore Borsellino con tutto il fiato che ha in gola.

Per un silenzio difficile da rompere, in una Italia prigioniera dell’immobilismo di ricattatori e ricattati, quello che rimane è l’urlo delle persone oneste.

 

 

Egidio Morici