“Nell’apprendere certe notizie, rimango basito” ha commentato il vicesindaco Giuseppe Rizzo. Non perché si aspettava una condanna, ma perché secondo lui non dovevano nemmeno finire in carcere, immedesimandosi nel dramma che hanno dovuto subire gli imputati ed i loro parenti. Il vicesindaco ha considerato aberrante anche il fatto che i pm avessero chiesto 5 anni e 4 mesi per Fontana e 7 anni per Giambalvo.
Più di 60 anni di carcere sono stati inflitti col rito abbreviato agli 11 dei 13 imputati coinvolti nell’operazione antimafia Eden 2.
Assolti, appunto, Giuseppe Fontana (notoriamente vicino alla famiglia dei Messina denaro, aveva già scontato 17 anni per traffico internazionale di stupefacenti) e Calogero Giambalvo (consigliere comunale di maggioranza nella città di Castelvetrano).Entrambi erano stati coinvolti nella brutta storia del pestaggio a sangue di un tizio che avrebbe avuto l’infelice idea di rubare a casa dei genitori del Fontana. In quei gioielli, secondo Giambalvo, c’erano anche quelli della madre di Matteo Messina Denaro. Il Giudice li ha assolti, disponendo la loro scarcerazione.
Ma le assoluzioni non cancellano di certo le intercettazioni e i comportamenti. Semplicemente non attribuiscono quella rilevanza penale che serve ad arrivare ad una condanna giudiziaria.
E un amministratore della cosa pubblica che si nasconde dietro lo schermo della sentenza, senza entrare nel merito dei comportamenti, dà un messaggio devastante, che ha il sapore degli applausi ai funerali del parente del boss e dell’interessato omaggio degli inchini di certe processioni. Un commento che si limita ai soliti tecnicismi da avvocato, calpestando quello che diceva Paolo Borsellino già nel 1989: “Si dice: questo tizio non è mai stato condannato, quindi è un uomo onesto... ma dimmi un poco... tu non ne conosci gente disonesta che non è mai stata condannata perché non ci sono le prove per condannarla?”.
Ma non ci si poteva aspettare altro da questa classe politica che, anche dopo la diffusione di determinate intercettazioni, attendeva prima di prendere posizione sull’ex consigliere di Articolo 4 (e prima del Fli), entrato nella rosa dei trenta (era il primo dei non eletti), dopo la nomina ad assessore appunto di Giuseppe Rizzo.
La sentenza di assoluzione non cancella l’intercettazione ambientale che gli investigatori hanno ascoltato dalla voce dello stesso Giambalvo, che commenta così quel pestaggio:
“L’hanno lasciato morto, una costola sana non gli è rimasta, le gambe rotte in tre parti e non sappiamo se rimane sulla sedia a rotelle, la braccia rotte, spalle cadute tutt’e due, testa spaccata, chissà in quante parti, morto l’hanno lasciato in una pozzanghera di sangue.” […] “E’ passato qualche minchia… se stava un’ora lì moriva, è passato qualche minchia e ha chiamato i Carabinieri dicendo che c’era questo qui a terra, chi è stato non si sa, però in paese c’è stato un gran fermento.” […] “Minchia un marruggio di zappuni di sopra si ci rumpiu (un manico di zappa addosso si ci è rotto, ndr)… noialtri là, quando lo abbiamo portato là già… già distrutto era…[…] “Eee in quell’inferno ho buttato i suoi vestiti pieni di sangue e ho buttato tutte cose… e ho buttato tutte cose… minchia ho buttato un maglione nuovo, nuovo picciotti… mi… che peccato.”
Un’assoluzione che non cancella nemmeno il suo appassionato racconto degli incontri col vecchio capomafia don Ciccio Messina Denaro e con lo stesso Matteo. Di quest’ultimo, nel suo racconto intercettato dai Carabinieri dice anche: “Se io dovessi rischiare 30 anni di galera per nasconderlo rischierei! La verità ti dico! Ci fossero gli sbirri qua? E dovessi rischiare a mettermelo in macchina e farlo scappare io rischierei. Perche io ci tengo a queste cose”.
E’ un sentimentale, Giambalvo. E si capisce dalla nostalgia per i vecchi tempi. Quelli in cui era andato a scaricare tronconi a casa di Don Ciccio Messina Denaro: “Minchia c'era un profumo di caffè. ‘Entra, Lillo prenditi il caffè', oh zu Cicciu assa benerica, minchia ci siamo abbracciati e baciati, io ogni volta che lo vedevo mi mettevo a piangere perchè... mi smuvia...”
In sostanza la “verità giudiziaria” di questa sentenza è collegata col fatto che non sia stata, a parere del giudice, sufficientemente dimostrata la diretta partecipazione al pestaggio da parte di Giambalvo. E, nello stesso tempo, non si sia dimostrato che il Fontana ne sia stato il mandante. Sono “particolari” che fanno la differenza a livello giudiziario (un po’ meno sotto altri punti di vista). Perché un conto è rivolgersi alla “famiglia” per riavere la roba rubata, altro conto è essere il mandante di un gravissimo pestaggio. Forse, in quest’ottica, può essere d’aiuto un’intercettazione di Rosario Cacioppo, condannato in questo processo a 10 anni e 10 mesi:
“Eh! Prima è venuto (il Fontana, ndr) a cercare amici e poi praticamente quando gli amici hanno fatto quello che hanno fatto, ha fatto bordello. Dice, ora vengono a prendere a me… minchia c’era bisogno di fare tutto questo… di qua… di là… E quello gli ha detto ‘Perché sei venuto a cercarci, allora? Cosa dovevamo fare? Se gli abbiamo detto la cosa ed è stata negativa la prima e la seconda volta…’ gli ha detto. ‘Noialtri a Palermo ragioniamo così, poi tu non lo so a Castelvetrano come ragionate”. Dice ‘Ma a voi chi ve lo ha detto di fare questo?’… Dice ‘Senti una cosa, non mi dire più niente’”.
Ma questi potrebbero essere argomenti per addetti ai lavori, avvocati, giudici, più che per la società civile o per la politica. Il sindaco Errante, al momento dell’arresto del consigliere, aveva commentato: “Sono Basito e auspico che possa essere fatta chiarezza sulla sua posizione”. Insomma, “basito” il sindaco allora, “basito” il vicesindaco ora.
Basita invece, per motivi diametralmente opposti, quella parte della città che non si sente di scivolare nella pericolosissima trappola del “sono stati assolti, quindi non hanno mai avuto nulla a che fare…”.
Intanto a Castelvetrano, per le prossime amministrative, ci potrebbe essere spazio per entrambi: Giambalvo è innocente (e chissà, magari già da adesso potrebbe pure riprendere il suo scranno) e Fontana (come Cuffaro) ha pagato il suo debito e, anche se non direttamente, potrebbe contribuire alla politica della città. Un sito on line locale ha pubblicato una sua lettera a Vecchioni, in cui spiega le origini dei mali di Sicilia da cercare a Roma e a Torino.
Egidio Morici