Il fatto non costituisce reato. Mario Ciancio è stato assolto dalle accuse di mafia. «Non ci sperava, finalmente c'è una giudice che si assume delle responsabilità importanti», commentano i suoi legali. Una decisione contraria alla richiesta dei magistrati Antonino Fanara e Agata Santonocito. "Nessuno dei collaboratori di giustizia conosce Mario Ciancio", spiega in aula, durante la sua arringa, il legale Francesco Coletti. Sono state così smontare dice il legale tutte le accuse avanzate dalla procura etnea. Le accuse mosse dai pm rigurdavano il patrimonio milionario trasferito all'estero dall'imprenditore, i suoi agli affari nel territorio catanese, e i suoi rapporti con la politica.
Questo il commento del suo legale Carmelo Peluso:
"Questa sentenza ha consentito di evitare ingiustizie: sono particolarmente felice di avere trovato un giudice che ha trovato la forza e il tempo di leggere questa mole di carte e di assumere una decisione assolutamente coraggiosa. Quando i processi non sono istruibili - ha osservato il penalista - ci vuole qualcuno che lo dica prima che si facciano feriti e si lascino sul campo famiglie senza lavoro. Oggi spero che sia l'alba di un nuovo periodo. La Corte di Cassazione sta disinfettando il bisturi dell'antimafia e ho portato diverse sentenze per potere dire che oggi ci vogliono le prove per fare i processi. Non sono piu' ammissibili i tempi in cui si fanno sui sospetti, perche' lasciano per strada sequestri penali, misure di prevenzione, aziende che falliscono. Tutto questo, per carita', se e' giusto allora e' giusto che accada, se non e' giusto pensiamoci per tempo".
Il Grande Progetto edilizio - Le ultime indagini su Mario Ciancio riguardavano il mega progetto che l'imprenditore voleva realizzare alla Playa di Catania. Su alcuni terreni di sua proprietà l'imprenditore - secondo l'accusa - non si sarebbe limitato alla vendita degli appezzamenti, ma avrebbe continuato a seguire l'iter del progetto, prestando il suo aiuto e le sue conoscenze politiche. Come quella con il sindaco di Catania Enzo Bianco - allora candidato - il quale, secondo i carabinieri, avrebbe «assunto un impegno nei suoi riguardi». Impegno esplicitato, sempre secondo gli investigatori, in una telefonata tra i due all'indomani della votazione del consiglio comunale etneo sul Pua. «Dov'è la mafia in questa vicenda? Nella società Stella Polare?», chiede l'altro avvocato di Ciancio, Carmelo Peluso. Il riferimento è alla compagine che si occuperà di realizzare il progetto. Nata nel 2005 su input dell'imprenditore veneto Renzo Bissoli e che aveva come soci iniziali Salvatore Modica e Francesco Strano, ritenuti vicini al clan Laudani e Santapaola. I due cedono le loro quote a Bissoli nel 2008. Periodo antecedente, secondo Peluso, al primo atto amministrativo del Pua: «È un volo pindarico - conclude il legale - diteci qualcosa in più per parlare di mafia in questo affare».
Durante l'arringa difensiva la parola che viene pronunciata con più frequenza dall'avvocato Carmelo Peluso è «terreni». Un argomento, relativo ai possedimenti di Ciancio, a cui la giudice etnea Marina Rizza aveva dedicato un intero capitolo della sentenza che ha condannato - sempre per concorso esterno alla mafia - l'ex governatore Raffaele Lombardo. Parole poi confluite nell'indagine oggi arrivata a conclusione. Il sistema descritto da Rizza appare ben rodato: Ciancio possiede dei terreni per lo più agricoli, prende contatti con chi intende realizzarci su delle opere, attiva i suoi canali politici affinché i terreni diventino edificabili, li vende a un prezzo superiore, continua a seguire l'iter delle opere stesse e spesso entra in società con chi deve realizzarle. Società i cui soci sono a volte già noti alle forze dell'ordine, così come alcune delle ditte che si occupano dei lavori. Un esempio su tutti, sempre secondo due giudici, è il centro commerciale Porte di Catania.
I grandi affari nell'edilizia e non solo hanno portato alla costruzione di un impero economico, di cui fanno parte anche i 52 milioni di euro depositati in Svizzera e scoperti dalla procura di Catania. Di questi soldi, a giugno la Procura di Catania ne aveva sequestrati 17, quando gli inquirenti hanno scoperto che il valore dei titoli stava per essere convertito in denaro, da trasferire in Italia. Anche questi solo una parte dei soldi custoditi all'estero dall'imprenditore, che però si preoccupa di far rientrare anche queste cifre dai fondi neri alla legalità. È così che nel 2008 Ciancio si rivolge a una società finanziaria lussemburghese per riuscire a controllare, tramite un complesso schema di incastri, i fondi d’investimento di una società nel paradiso fiscale delle Mauritius.