Davanti al giudice monocratico Matteo Giacalone, don Vito Caradonna, processato per circonvenzione d’incapace, ha cercato di difendersi con tutte le sue forze. L’ex prete della chiesa di San Leonardo a Marsala, sospeso a divinis dal vescovo Mogavero dopo la condanna (anche in appello) per tentata violenza sessuale su un uomo, ha dichiarato: “Non ho voluto approfittare, né volevo circuirlo. Avevo bisogno di un prestito perché avevo fatto un mutuo per l’acquisto di un’abitazione. E a garanzia del prestito ho rilasciato degli assegni. Se avessi voluto, inoltre, tenere nascosto il prestito, non solo non avrei fatto gli assegni, ma non avrei neppure accompagnato la persona a cui avevo chiesto il denaro alla posta, dove alla presenza della direttrice è stato detto che la somma era prelevata perché avevo bisogno di un prestito”. E inoltre: “Quando ho chiesto il prestito non conoscevo la sua patologia specifica. Sapevo solo che aveva qualche problema, ma vedevo che era autonomo. Viveva da solo, faceva acquisti autonomamente e sul conto che aveva alla posta solo lui poteva operare. Non c’erano cointestatari o persone che dovevano autorizzare al prelievo o a disinvestire i buoni fruttiferi che lui aveva”. Dall’indagine, condotta dalla sezione di pg della Guardia di finanza presso la Procura è emerso che don Vito Caradonna, nel 2010, quando era parroco a San Leonardo, riuscì a farsi consegnare quasi 70 mila euro da un parrocchiano, ex militare della Marina, con problemi di salute per i quali, nel 1991, dopo 9 anni di servizio, fu congedato. Ma gli fu riconosciuta la “causa di servizio”. E per questo percepisce una pensione di circa 1200 euro al mese. Solo a fine ottobre 2011, grazie all’intervento di un legale, il parrocchiano è riuscito a rientrare in possesso del denaro prestato al prete. Il denaro, secondo l’accusa, era stato spillato in più soluzioni “abusando – secondo l’accusa – dello stato di infermità” del parrocchiano. Per oltre un anno, poi, sempre secondo l’accusa, la vittima sarebbe stata presa in giro. Gli venivano, infatti, consegnati assegni a vuoto e falsi documenti postali che attestavano bonifici. L’indagine è stata coordinata dal procuratore Di Pisa e dal pm Scalabrini. Da un accertamento alla Camera di commercio è emerso che furono ben 17 gli assegni a vuoto protestati al sacerdote, per un ammontare complessivo di 170.454 euro. E anche la Banca d’Italia ha confermato l’esistenza di “anomalie” nel tourbillon dei crediti - mutui, affidamenti, etc. - accordati al prete. Tra le persone dalle quali il giovane parroco, ex cappellano del carcere, ha ottenuto denaro (10 mila euro) anche l’avvocato Antonino Sammartano, il legale grazie alla cui intermediazione, la vittima riuscì, dopo parecchio tempo, a rientrare finalmente in possesso del denaro prestato a don Vito. E inoltre all’arciprete don Giuseppe Ponte e al missionario don Enzo Amato, come confermato da entrambi nel corso del processo. Don Vito, poi, restituì il prestito avuto dall'uomo vendendo l’appartamento che aveva comprato. Pare, proprio con quei prestiti. Alla prossima udienza, il 12 febbraio, verranno ascoltati uno psichiatra, consulente della difesa, e altri quattro testi citati dagli avvocati difensori: Luigi Pipitone e Francesco Fontana.