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23/02/2016 06:30:00

Castelvetrano, storia di Vito Signorello: il fan numero uno di Messina Denaro

 E’ a Castelvetrano, nella centralissima via Mazzini, l’ennesimo bene confiscato alla mafia di Matteo Messina Denaro. Si tratta di un edificio di 49 vani, del valore stimato in 1,2 milioni di euro, che gli investigatori riconducono a Vito Signorello.
La confisca arriva, dopo il sequestro del 2013, nell’ambito dell’operazione “Campus Belli” in cui era anche emersa una conflittualità tra due fazioni all’interno della stessa famiglia mafiosa di Campobello di Mazara: Francesco Luppino, appoggiato da Matteo Messina Denaro, aveva cercato di aumentare il proprio potere per conquistare il comando della famiglia, appartenente invece a Leonardo Bonafede. Nessuna guerra di mafia, soltanto una piccola divisione che, secondo gli inquirenti, non avrebbe impedito alla mafia di Campobello di sfruttare le principali economie del territorio.

Vito Signorello è un fan storico del superboss, stando almeno alle intercettazioni.
Calciatore e insegnante di educazione fisica, quando nel 1998 viene arrestato nel corso dell’operazione “Progetto Belice”, le intercettazioni rilevano la sua devozione per Messina Denaro, divisa tra il sogno di diventare “tutta una cosa” con lui e la partecipazione agli attentati incendiari.
“Ah, se potessi incontrarlo, anche solo per pochi minuti”, confidava agli “amici”. Magari avrebbe potuto “portarlo in giro con la moto per fargli prendere un poco d’aria”. Le microspie registravano tutto, compresa la sua promessa di impegnarsi di più per cosa nostra: “Appena chiudono le scuole  lavorerò a tempo pieno per aiutare i latitanti…”.
Una volta fuori dal carcere, allena la squadra della Folgore. Poi abbandona la panchina, ma non l’organizzazione mafiosa, almeno secondo gli inquirenti.
Dalle intercettazioni dell’operazione “Campus Belli”, che aveva visto l’arresto per mafia del sindaco di Campobello di Mazara Ciro Caravà e di altre dieci persone, sono emersi vari episodi che hanno portato gli investigatori a ritenere che Signorello abbia continuato ad offrire la propria piena disponibilità per tutte le esigenze della famiglia mafiosa, eseguendo gli ordini dell’anziano boss Leonardo Bonafede.

A lui si rivolge infatti per ottenere l’autorizzazione ad interrompere il proprio rapporto con la moglie ed intraprendere una convivenza con un’altra donna. Una richiesta già avanzata molti anni fa, che però aveva avuto esito negativo e che viene riformulata nel 2006. In quel periodo però Leonardo Bonafede è in carcere e visto che, dato il suo spessore in Cosa nostra, la sua corrispondenza è controllata, Vito Signorello si rivolge al genero di questi, Salvatore Gentile, anch’egli in carcere, ma con il quale sarebbe stato più semplice intrattenere una corrispondenza riservata. Anche quella però è controllata e gli inquirenti la leggono: “… Vorrei andare ad abitare da solo, ma posso? Rispondimi”.
“Io giovedì saprò tutto” diceva Vito Signorello alla donna con cui avrebbe voluto convivere, in una telefonata intercettata nell’ottobre seguente, dalla quale emergeva chiaramente, secondo gli investigatori, che la relazione sarebbe potuta proseguire soltanto se autorizzata dal Bonafede.
Alla fine il patriarca dice sì. Lui si separa dalla moglie e si trasferisce in un’abitazione rurale. Pochi mesi dopo però, nel 2007, la relazione si conclude per decisone della ragazza.

Ma secondo gli inquirenti Vito Signorello non subisce solo i dictat della famiglia mafiosa.
Dalle carte si legge infatti che riteneva “che la consorteria dovesse assicurare anche a lui un’occupazione lavorativa, fatto per cui contava di rivolgersi direttamente, e senza intermediazione alcuna, al noto Grigoli Giuseppe per chiedergli un impiego, manifestando già a priori la massima sicurezza che quel lavoro gli sarebbe stato concesso, tanto da stabilire egli stesso le mansioni che avrebbe dovuto svolgere”.

E poi c’è l’incubo delle intercettazioni.
I Carabinieri di Trapani  descrivono infatti un episodio in cui Vito Signorello cerca una scheda telefonica “pulita”, tra le amiche della figlia allora minorenne. Ma, per chiederle se qualche sua amica ne avesse qualcuna in più che non usa mai, chiama da un cellulare intercettato e sei giorni dopo i carabinieri intercettano anche il nuovo numero.
Con il cellulare ha un rapporto conflittuale, al punto da convincersi che ad essere intercettate possono essere soltanto le chiamate e non gli sms. È per questo che dovendo comunicare ad un intermediario l’esatto nominativo della persona alla quale parlare per proprio conto, intuendo di essere intercettato, gli invia un messaggio. Ecco perché i Carabinieri leggono chiaramente il testo degli sms e si accorgono di uno scambio avvenuto con Mimmo Scimonelli, uomo d’onore della famiglia di Partanna, arrestato insieme a lui nel 1998 e anche lui condannato definitivamente per mafia.
In un’altra occasione invece, sapendo che Giovanni Filardo (arrestato per mafia nell’operazione Golem II) era all’epoca sottoposto ad intercettazione, discuteva con un altro se scendere dalla macchina e farsi vedere in sua compagnia. 
Paradossalmente però, Signorello si trovava proprio nella macchina dove i Carabinieri avevano nascosto le microspie.

Insomma, le intercettazioni hanno sempre avuto un ruolo primario a prescindere dalla rilevanza penale dei comportamenti.
Confidare di poter incontrare il boss o di poterlo scarrozzare in moto, per fargli prendere un po’ d’aria, non è reato. E non è certo per questo che Signorello era stato arrestato in passato.
Così come l’arresto del consigliere comunale Calogero Giambalvo, di cui si è discusso molto in questo periodo, non era strettamente collegato a quei 30 anni di galera che si sarebbe fatto per nasconderlo. Oppure all’ipotesi (se lui si fosse trovato nei panni del latitante) di uccidere uno dei figli di Lorenzo Cimarosa (cugino acquisito di Matteo Messina Denaro, che stava aiutando gli inquirenti con le sue dichiarazioni) per impedirgli di parlare.

In entrambi i casi, si tratta di frasi intercettate che non costituiscono reato.
Vito Signorello però non ha mai varcato la soglia di Palazzo Pignatelli come consigliere comunale di maggioranza della Città di Castelvetrano.

 


Egidio Morici