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16/04/2016 06:30:00

La storia di Giuseppe Gulotta, vittima di frode processuale e dei misteri italiani

Mercoledì scorso la corte d’appello di Reggio Calabria ha condannato il Ministero dell’Economia a pagare 6 milioni e 530 mila euro a Giuseppe Gulotta, il muratore di Alcamo vittima del più grande errore giudiziario della storia italiana, anche se, più che di errore giudiziario, Gulotta è stato vittima di una vera e propria frode processuale. E la storia di Giuseppe è una storia italiana di quelle che dovrebbe fare indignare tutti gli italiani, perchè è qualcosa che riguarda tutti noi, se la notte del 27 gennaio del 1976 vengono trucidati due giovani militari dell’Arma dei Carabinieri, Carmine Apuzzo e Salvatore Falcetta e qualche giorno dopo, altri carabinieri confezionano con minacce, botte e torture una falsa verità che porta in un tunnel senza via d’uscita cinque giovani accusati di essere gli esecutori materiali della strage di Alcamo Marina, ancora oggi avvolta nel mistero e i cui veri responsabili sono ancora in libertà.

Per Giuseppe Gulotta tutto ha inizio la sera del 13 Febbraio del ‘76, quando, a qualche settimana di distanza dalla strage in cui furono uccisi i due poveri carabinieri, altri militari dell’Arma lo vanno a prelevare a casa sua. “Dobbiamo chiederti alcune cose” gli dicono.
Lui, appena diciottenne e con poche possibilità economiche, lavorava come muratore, e aveva fatto richiesta per entrare nella Guardia di Finanza. Quando i carabinieri vanno a bussare alla sua porta pensa che volessero avere ulteriori informazioni preliminari dall’aspirante finanziere. E invece non si trattava del concorso. Giuseppe Vesco, un ragazzo arrestato qualche giorno prima accusava Gulotta e gli amici Gaetano Santangelo, Vincenzo Ferrantelli e Giovanni Mandalà di essere gli autori della strage di Alcamo Marina. Quella notte, nella casermetta dove viene interrogato, crede di morire. Gli puntano una pistola addosso, lo costringono a bere acqua e sale, lo massacrano di botte, fin quando, esausto, per liberarsi da quell’orrore firma il verbale.

Dopo qualche ora davanti al giudice ritratta e spiega la sua verità, ma nessuno gli crede e inizia il suo incubo che lo porta nel settembre del 1990 alla condanna definitiva all’ergastolo. Giuseppe Vesco fu trovato morto nella sua cella, nell’ottobre del 1976 nel carcere di San Giuliano di Trapani, dopo aver ritrattato tutto e detto più volte che quelle confessioni erano state estorte dai carabinieri con le torture. La versione ufficiale parla di suicidio per impiccagione, anche se la circostanza rimane misteriosa visto che Vesco aveva una mano amputata. Nel 2008 il rimorso di coscienza dell’ex brigadiere Renato Olino, presente la notte dell’arresto, lo porta a raccontare che le confessioni di Giuseppe Vesco, Gulotta e gli arrestati erano state estorte con la tortura; nel 2008 la Procura di Trapani ha aperto due inchieste. Una sulla morte dei due militari, l’altra su quattro carabinieri accusati di sequestro di persona e lesioni gravissime: sono Giuseppe Scibilia, Elio Di Bona, Giovanni Provenzano e Fiorino Pignatella. Olino ha dichiarato ai giudici del Tribunale di Trapani che quei ragazzi con l'eccidio non c'entravano nulla e che le loro confessioni sono state estorte con violenze terribili.
Finalmente per Giuseppe Gulotta inizia a farsi concreta la possibilità di poter ritornare in libertà. C’è la revisione del processo e il 13 febbraio 2012, esattamente 36 anni dopo il suo arresto viene assolto per non aver commesso il fatto. In seguito anche Ferrantelli e Santangelo, che diversamente da Gulotta fuggirono in Brasile per non andare in carcere, sono stati assolti dalla corte d’appello di Catania e nel 2014 anche la corte d’appello di Trapani ha assolto Giovanni Mandalà che era morto in carcere per cause naturali.

Per Gulotta, che deve tutto alla sua forza, alla consapevolezza di essere innocente e alla famiglia per essere riuscito a superare tutti questi anni di carcere, ora finalmente inizia una nuova tappa della sua vita anche se quello che gli è stato riconosciuto è poco, pochissimo. E' quasi impossibile che ci sia una misura che abbia potuto quantificare il risarcimento di Giuseppe Gulotta per aver vissuto 22 anni in carcere e 36 interminabili anni di calvario giudiziario. Ci si può immedesimare, ma non è mai come vivere quello che ha vissuto, anzi, quello che non ha vissuto e che gli è stato tolto, come l'affetto dei suoi familiari e il veder crescere suo figlio.

 “Nessuna cifra al mondo potrebbe risarcire quanto ho subito - le parole di Gulotta -. Sei milioni e mezzo sono tanti e di certo adesso, dopo una vita di stenti, potrò far fronte alle necessità familiari. Ma dopo 40 anni di vita rubata, possono bastare?È stato un tecnico a stabilire la cifra di 56 milioni chiesta dai miei avvocati, Saro Lauria e Pardo Cellini, non è una somma a caso. Questa, forse, è l’ennesima beffa subita in questi quaranta anni. Speravo in qualcosa di più ma se per lo Stato tutte le mie difficoltà corrispondono a questa cifra rispetterò la sentenza. Però l’amarezza rimane. Alle volte non si trovano le parole per esprimere i sentimenti". Gli avvocati di Gulotta, Baldassare Lauria e Pardo Cellini una volta letto il dispositivo della sentenza valuteranno se fare appello in Cassazione, perchè comunque a Gulotta è stato riconosciuto il risarcimento per la detenzione e non quello per danno morale, biologico e patrimoniale.

Gulotta, che da quando è in libertà ha scritto assieme al gionalista Nicola Biondo, "Alkamar" il libro della sua storia,  ora attraverso la “Fondazione Giuseppe Gulotta” si dedicherà e assisterà le vittime di errori giudiziari e farà in modo che non succeda mai più quello che è successo a lui. La sentenza della corte di Reggio Calabria ha detto che c’è un danno esistenziale, biologico e patrimoniale, ma che per ottenerlo si dovrà fare causa all’Arma dei Carabinieri. Sarà la prima volta nella storia che ciò accadrà, e forse, sarà pure l’occasione che qualcuno dell’arma dei Carabinieri per la prima volta potrà porgere le scuse a Giuseppe Gulotta per tutto quello che ha dovuto patire in questi quarant’anni in cui è stato vittima della più grande frode processuale e di quella strage che rimane tra i tanti misteri italiani.