Dalle dichiarazioni del generale Nicolò Gebbia, oggi in pensione, che dice di essersi accorto di essere stato “preso in giro e condotto per il naso verso direzioni che non erano quelle che avrebbero potuto assicurare alla giustizia i principali latitanti di mafia”, alle dichiarazioni di una decina di ufficiali e sottufficiali dei carabinieri che hanno parlato di una serie di fatti che hanno impedito di svolgere adeguate indagini. Elementi che si aggiungono alle denunce dei due sottufficiali, Saverio Masi, oggi caposcorta del pm Nino Di Matteo, e Salvatore Fiducia (indagati a loro volta per calunnia), nei confronti di cinque ufficiali accusati di avere ostacolato la cattura di Bernardo Provenzano e Matteo Messina Denaro negli anni che vanno dal 2001 al 2008.
A riportare la notizia è oggi il Fatto Quotidiano che evidenzia come per tutti, “denuncianti e denunciati, la procura di Palermo ha chiesto l’archiviazione, ritenendo non riscontrati i fatti perché avvenuti alla sola presenza dei protagonisti”.
Eppure all’interno del fascicolo si parlerebbe di intercettazioni improvvisamente interrotte, pedinamenti negati, e risulterebbe anche una sparizione di un file con notizie sui latitanti nei computer investigativi (sparizione denunciata alla polizia postale e archiviata perché ritenuta uno scherzo). Inoltre si parlerebbe persino di una microspia trovata dentro una gazzella. Tutti episodi che sarebbero avvenuti nel periodo in cui il reparto di investigatori della Carini era guidato dal colonnello Gianmarco Sottili. messina denaro matt eff
Secondo quanto riportato dal quotidiano vi sarebbero anche riscontri come nel caso del mancato sequestro di un computer a casa dell’ex consigliere provinciale Udc, Giovanni Tomasino, che il capitano Vincenzo Nicoletti ritenne di non sequestrare. I pm, nella richiesta di archiviazione, confermerebbero il dato ma su Nicoletti, indagato per favoreggiamento, verrebbe applicata la prescrizione.
Sarebbe stato quest’ultimo a rivolgersi a Masi facendo intendere che Provenzano non si doveva catturare (“Noi non abbiamo al- cuna intenzione di prendere Pro- venzano. Lo vuoi capire o no che ti devi fermare? Hai finito di fare il finto coglione? Dicci cosa vuoi che te lo diamo…”). E poiché, anche in questo caso le parole di Masi sono state riscontrate, in modo indiretto, da un altro maresciallo, la Procura avrebbe ritenuto di escludere “la configurabilità del reato di calunnia” a carico dello stesso Masi.
Un dato importante nei confronti di uno dei testimoni al processo trattativa Stato-mafia. A questo si aggiungerebbe un ulteriore elemento. Dall’inchiesta della Procura militare di Roma, che ha portato alla richiesta di rinvio a giudizio del colonnello Sottili per diffamazione dei due ufficiali, scrive sempre il Fatto, sarebbero spuntate anche le autorizzazioni all’uso dell’auto privata per le indagini che attesterebbero la sua correttezza rispetto all’episodio che gli è costato una condanna in cassazione a sei mesi per falso materiale e tentata truffa.
AMDuemila