Giuseppe Antoci, presidente del Parco dei Nebrodi, è stato vittima di un attentato, riuscendo a uscirne vivo solo grazie a un’auto blindata e alla reazione immediata della sua scorta. Antoci da tempo si era schierato contro la “mafia dei pascoli”, impedendole di utilizzare vaste aree demaniali per i propri affari; ed era stato per questa ragione minacciato. Ma esattamente cosa parliamo quando ci riferiamo alla "mafia dei pascoli"? Una risposta ce la dà lo storico Salvatore Lupo:
La mafia dei pascoli di oggi è da considerarsi necessariamente primitiva, povera, dunque meno pericolosa? Non direi. Già altre volte fuorvianti considerazioni sul carattere primitivo di alcuni gruppi mafiosi (pensiamo ai corleonesi di Riina) ci hanno portato a sottovalutarli. Gli affari della mafia dei pascoli, a quanto sembra, sono lucrosi. Se le cose sono come sembrano a poche ore dall’attentato, grande è anche la sua determinazione a tutelarli con ogni mezzo. Che la pax mafiosa, nell’isola, sia finita? La domanda sorge naturale. Da più di vent’anni uomini delle istituzioni come Antoci non erano stati oggetto di attentati del genere. La memoria ritorna a tempi terribili, alla tragica sequenza degli assassini “eccellenti”, a quando Cosa nostra riusciva a far pesare la sua minaccia terroristica sugli uomini delle istituzioni e, dunque, sulla stessa democrazia italiana - alla scia di sangue che ha investito la Sicilia tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’90 del secolo scorso.
Questo agguato "dà solo la conferma che siamo sulla strada giusta. Abbiamo toccato gli interessi veri della mafia, stiamo facendo un'antimafia concreta di risultati. Loro lo hanno capito, sanno che non indietreggiamo e sono arrivati ai rimedi peggiori che potevano", dice Antoci.
Antoci in un'intervista al Tg2000, il telegiornale di Tv2000, ha raccontato l'agguato subito:
"Mi ero addormentato, la mia macchina ha rallentato e subito dopo è arrivata una raffica di fuoco. Mentre era ancora in atto il conflitto a fuoco è arrivata la seconda macchina della polizia che ci ha salvato la vita. I poliziotti hanno cominciato a sparare, nel frattempo sono scesi dalla macchina anche i miei della scorta che hanno messo in fuga queste persone. Avevano anche delle bottiglie incendiarie, volevano bloccarmi per costringermi a scendere dalla macchina".
"Qui decine di persone - ha concluso Antoci - stanno facendo squadra, questa è la risposta giusta. Ho fatto solo il mio mestiere, nulla di particolare. Spero che ci sia sempre più gente che faccia il proprio dovere e sempre meno gente sotto scorta che subisce attentati".
Con Antoci alla guida dell'ente (dal 2005 senza presidente, aveva visto susseguirsi quattro commissari), nell'area dei Nebrodi si rompe quella sorta di "patto sociale" che andava avanti da decenni e che consentiva l'utilizzo per pascolo, a canoni irrisori, dei terreni demaniali. Alla rottura contribuisce non poco il giovane sindaco di Troina (Enna), Fabio Venezia, anche lui sotto scorta per le numerose minacce ricevute. Quando Troina si aggiunge agli originari comuni del Parco, porta "in dote" 4.200 ettari di terreni a pascolo che il primo cittadino rifiuta di concedere alle solite condizioni. Antoci trova un alleato e comincia la serrata verifica dei contratti. L'allargamento dei controlli (il Parco ha un'estensione di 86 mila ettari e comprende 24 comuni) e la richiesta di certificazione antimafia e dei carichi pendenti avviene anche per chi intende stipulare o rinnovare contratti di piccolo importo, e comunque ben al di sotto della soglia prevista per legge. Alcune concessioni di terreni vengono revocate e dai tribunali arrivano sentenze che inchiodano gli affittuari, che insieme ai privilegi concessori perdono anche i lauti finanziamenti dell'Unione europea, calcolati sugli ettari a disposizione. A fronte di una spesa di 30 euro ad ettaro per un terreno pubblico destinato a pascolo, chi ottiene la concessione dagli enti gode di un contributo di circa 3 mila euro a ettaro. Un "affare milionario" osteggiato dal presidente del Parco dei Nebrodi anche attraverso un protocollo di legalità firmato con la Prefettura di Messina. "Dobbiamo cambiarla tutti insieme questa terra - chiosa Antoci -. Non sto facendo niente di speciale. Sto facendo solo il mio dovere".
Per avere un'idea del fenomeno, basti pensare che nell'Isola fra i beneficiari di questo sistema ci sono stati in passato nomi (e cognomi) pesanti. Su tutti, il fratello di Totò Riina, Gaetano, che ha ottenuto oltre 40 mila euro di fondi europei quando aveva già in mano le redini del mandamento di Corleone, oppure Salvatore Seminara, ritenuto il reggente di Cosa nostra a Enna fino al suo arresto nel 2009, che in una dozzina d'anni ha ricevuto 200 mila euro in questo modo. E fra le aziende agricole che hanno ottenuto finanziament, c'è anche quella da 300 ettari dell'imprenditore Paolo Farinella, usata come riserva di caccia da Bernardo Provenzano durante la sua decennale latitanza.
Il deputato di Sinistra Italiana Erasmo Palazzotto, alla Camera ha illustrato nel dettaglio in una interrogazione il meccanismo: “I controlli antimafia e la conseguente certificazione al fine di vedersi riconosciuto il contributo comunitario, - scrive ad esempio - sono obbligatori per cifre superiori ai 150 mila euro, in sostanza tutto ciò che è sotto tale soglia sfugge al controllo di legalità e, nel corso degli anni, questa norma ha favorito gli interessi mafiosi nel settore agricolo”. Per farla breve, la criminalità sarebbe riuscita negli anni a farsi assegnare terreni, frammentandone l'estensione, al fine di rimanere “al di sotto” dell'asticella che costringe alla presentazione della certificazione antimafia. E Giuseppe Antoci, finito nel mirino della criminalità la scorsa notte, avrebbe provato a rompere il giocattolo proprio lì, chiedendo, appoggiato dal prefetto di Messina Stefano Trotta la stessa certificazione, attraverso il ricorso a un “protocollo pilota”. Da lì, ecco la revoca a una serie di concessioni. Revoca recentemente confermata dal Tar che ha, di fatto, tolto i terreni a persone sospettate di essere vicine a Cosa nostra in 23 casi su 25. Ed ecco l'agguato e gli spari che hanno rischiato di uccidere l'amministratore.