Le due papere preferite di Giovanni Falcone fanno bella mostra sulla scrivania, vicino alle penne stilografiche. Sul divano verde di similpelle c'è appoggiato il posacenere di ferro, e accanto la borsa di cuoio. E, ancora, il libro 'Un mestiere difficile: il magistrato' di Giuseppe Pera, e poi tanti documenti, fascicoli, gli appunti sul maxiprocessso e una macchina per scrivere. Eccolo, l'ufficio di Giovanni Falcone che, a 24 anni dalla sua morte nella strage di Capaci, rivive. Con i suoi oggetti, le sue cose, i suoi sigari. Tutto lasciato come se dovesse tornare da un momento all'altro. Da oggi gli uffici dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino si sono trasformati nel 'Museo della Memoria', inaugurato al Palazzo di giustizia alla presenza di magistrati, del sindaco Leoluca Orlando, della sorella Maria Falcone, del Prefetto e dei vertici delle forze dell'ordine.
A occuparsi della sistemazione delle stanze diventate museo, nel piano ammezzato del vecchio Palazzo di giustizia di Palermo, definito all'epoca 'il bunkerino', è stato l'ex assistente di Falcone, Giovanni Paparcuri, l'unico sopravvissuto alla strage di via Pipitone Federico, che costò la vita al giudice Rocco Chinnici, due carabinieri e il portiere dello stabile. A volere fortemente il Museo della Memoria è stato il Presidente dell'Anm di Palermo, Matteo Frasca: "L'idea del cosiddetto 'bunkerino', come è stato definito, nasce e si realizza nella seconda metà del 1983, dopo che il 29 luglio un'auto imbottita di tritolo aveva spezzato le vite del Consigliere istruttore Rocco Chinnici, di due militari dell'Arma dei Carabinieri e di un civile. Coincide e si salda con la formale costituzione del pool, che, frutto della felice intuizione di Chinnici, che probabilmente aveva concorso alla decisione della sua uccisione, era stata portata a compimento nel novembre 1983 dal suo successore, Antonino Caponnetto - racconta Frasca - Nei primissimi anni '80 Palermo era stata teatro di centinaia e centinaia di omicidi di appartenenti all'organizzazione mafiosa, un numero impressionante di morti ammazzati che un tanto miope quanto diffuso sentire relegava ad un mero regolamento di conti interno, rispetto al quale, quindi, lo Stato non avrebbe avuto motivo di preoccuparsi più di tanto".
"In quegli stessi anni Giovanni Falcone curava l'istruttoria del processo Spatola, un delicatissimo procedimento forse non tanto conosciuto dai non addetti ai lavori, avviato grazie al pervicace coraggio del Procuratore della Repubblica Gaetano Costa, anch'egli assassinato, il 6 agosto del 1980, poco tempo dopo avere emesso, in una solitudine probabilmente rivelatasi fatale, diversi provvedimenti restrittivi della libertà personale nei confronti dello Spatola e di suoi sodali - dice Frasca - E' stato il processo che ha rappresentato una vera e propria svolta storica, in quanto le geniali intuizioni di Giovanni Falcone si tradussero in un rivoluzionario metodo di lavoro, il "metodo Falcone" appunto, destinato a delineare un percorso assolutamente innovativo nell'attività del giudice istruttore".
"Un metodo sostenuto da una capacità di lettura del fenomeno mafioso senza eguali, tanto che mi sono sempre chiesto cosa sarebbe stato n grado di fare oggi, se, con gli strumenti ed i mezzi elementari di cui allora disponeva, era riuscito ad imprimere quella svolta - spiega ancora Matteo Frasca - Nello stesso periodo Paolo Borsellino, capitato per caso, come amava dire con il suo inconfondibile sorriso, nelle indagini di mafia, si era occupato dell'istruttoria del processo per l'omicidio del capitano Basile, brillante investigatore e comandante della Compagnia dei Carabinieri di Monreale, assassinato da Cosa Nostra il 4 maggio 1980".
"Anche quello fu un delicatissimo e travagliato processo, contrassegnato da un lungo iter processuale, caratterizzato da momenti talvolta sconcertanti e segnato da altri morti - racconta Frasca - Questo é il contesto storico nel quale, contemporaneamente alle crescenti indagini poi confluite nel cosiddetto maxiprocesso, venne deciso lo spostamento di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino dalle stanze poste al piano terra di questo Palazzo, prospicienti sulla via pubblica dalla quale erano separate da ampie vetrate inizialmente neppure blindate, per sistemarli nel nuovo ufficio, il bunkerino, collocato in un'area interna del primo ammezzato del Palazzo, in una zona non più di transito, quindi, e nel quale le misure di protezione vennero costituite sostanzialmente da una porta in ferro per l'accesso al corridoio che portava alle tre stanze che ne fanno parte e dalle telecamere installate all'ingresso della porta principale e collegate alla nuova stanza di Giovanni Falcone da un impianto video".
"Ebbene, abbiamo provato a ricostruire quegli ambienti, tentando di riprodurre con la massima fedeltà possibile i luoghi nei quali rimasero Paolo, fino alla fine del 1986 quando assunse le funzioni di Procuratore della Repubblica di Marsala, e Giovanni, sino alla prima metà del 1989 prima del suo insediamento come Procuratore della Repubblica Aggiunto presso il Tribunale di Palermo - dice Matteo Frasca - E' stato un lavoro che è costato notevole impegno organizzativo, sul quale, però, é prevalso l'entusiasmo, accompagnato da una forte partecipazione emotiva, che é cresciuta via via con la progressiva sistemazione delle cose, dalle più significative a quelle di apparente minore importanza, ma tutte capaci di trasmettere sensazioni difficilmente traducibili in parole. Vedere ricomporre quelle stanze, recuperarne l'identità e la fisionomia è stato un modo per ritrovare quella sacralità che la disattenzione, il disinteresse o l'incuria avevano violato in un breve volgere di tempo dopo la morte di Giovanni e di Paolo, disperdendo parte dei mobili e degli arredi tra molteplici destinatari, per di più spesso ignari della loro provenienza, o relegandone altra parte in scantinati umidi e polverosi".
"Certe volte mi chiedo se, al di là delle pur doverose e lodevoli manifestazioni commemorative, siano veramente stati compresi fino in fondo la unicità di quei protagonisti ed il debito inestinguibile che la società ha maturato nei loro confronti. Rileggendo anche solo parte degli atti, dalle deleghe di conferimento delle indagini alle ordinanze ed alle sentenze, è agevole constatare una straordinaria capacità di analisi delle carte, quelle carte nelle quali Giovanni, a dire dei suoi detrattori, sarebbe annegato, ma tra le quali, invece, si muoveva con impressionante disinvoltura e con una capacità di analisi ineguagliabile - dice ancora Matteo Frasca - Abbiamo rinvenuto alcune delle sue rubriche e scorrendole è stato facile rilevare la minuziosità e la precisione delle sue annotazioni, il rigore e la chiarezza sistematica che vi erano sottesi, una vera e propria anteprima assoluta di un moderno sistema informatico".
Tra gli atti rinvenuti esistono anche numerosi assegni, "un modesto campione delle migliaia di titoli esaminati, uno per uno ed in ogni girata, per ricostruire tutti i passaggi del denaro, tra incredulità, scetticismo, se non quando avversione neppure tanto celata da parte di diversi settori della società". "Non crediamo affatto che il nostro sia un lavoro concluso, perché é un'attività in progress, destinata ad essere arricchita con gli ulteriori elementi che continueremo a cercare ed acquisire, anche con l'apporto che auspichiamo che arrivi da tutti coloro che vorranno conferire al Museo oggetti di Giovanni e di Paolo - conclude Matteo Frasca - L'obiettivo che ci siamo proposti è la rappresentazione di un luogo di memoria permanente, rivolto non solo agli addetti ai lavori ma alla collettività intera". Presenti alla 'inaugurazione anche il Procuratore generale Roberto Scarpinato, che ha ricordato la figura di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, e il Presidente della Corte d'appello Gioacchino Natoli, oltre al Presidente dell'Ordine degli avvocati Francesco Greco e il componente del Csm Piergiorgio Morosini.