Bernardo Provenzano, corleonese, classe 1933, uno tra i più spietati criminali italiani è morto ieri all’ospedale San Paolo di Milano. Il braccio destro del capo dei capi Totò Riina, e lui stesso capo di “Cosa Nostra”, dal 1993 al giorno del suo arresto 11 aprile del 2006, capace di invertire la rotta e di dettare una linea diversa, fatta di sommersione e profilo basso, rispetto a quella violenta e stragista tracciata fino a poco tempo prima, si è spento all’età di 83 anni, dopo aver passato gli ultimi dieci in carcere al regime duro del 41-bis. Nemmeno negli ultimi giorni di vita i giudici hanno tolto quel regime di carcere duro, perchè hanno ritenuto fosse garantità ugualmente anche in ospedale quella pietas umana che subentra in questi casi.
Bernardo Provenzano “'U Viddanu”, "'U Ragiunieri" - Terzo di sette figli, il padre Angelo è agricoltore e “Binnu” non finisce la seconda elementare per seguirlo nel lavoro dei campi. Nel ‘54 parte per il servizio militare e dopo qualche giorno a Treviso torna a Corleone con un certificato medico che lo riformava. Inizia a frequentare Totò Riina, detto ‘u curtu, e Calogero Bagarella. Tutti sono alle dipendenze di Luciano Liggio, factotum di Michele Navarra, medico, esponente della democrazia Cristiana, sindaco di Corleone e mafioso. Nell’agosto del 1958 Provenzano e gli altri iniziano la prima guerra di mafia contro Navarra che finirà ammazzato dalla banda di Liggio. Il 6 settembre del ‘58 Binnu è tra i killer che spararono sulla folla durante la processione della Madonna della Catena per uccidere tre uomini di Navarra, ma tra i feriti rimangono a terra una donna e due bambine, e lo stesso Provenzano rimane ferito alla testa. Alcuni testimoni lo accusano di essere tra gli autori dell’eccidio, ma in seguito ritrattano e in corte d’Assise viene assolto.
La Latitanza - E’ sempre la guerra nei confronti di Navarra e l’omicidio di un suo uomo, Francesco Paolo Streva, che costringono Provenzano alla latitanza. I Carabinieri lo accusano dell’omicidio e Binnu dal 18 settembre del 1963 diventa “Il Fantasma di Corleone”, di lui rimane per 43 anni solo una foto segnalatica e nulla più.
Binnu diventa “‘U Tratturi” - A Provenzano, Riina, Liggio e Bagarella, la vita e gli affari nel circondario di Corleone stanno stretti e nel 1969 arrivano in città, sbarcano a Palermo. C’è una data ben precisa che gli fa guadagnare sul campo il nome di ‘u Tratturi. E’ il 10 dicembre ‘69, è il giorno della Strage di Viale Lazio. In questa che è una delle vie principali di Palermo si sta tenendo un vertice di mafia capeggiato da Michele Cavataio, Provenzano e altri mafiosi irrompono per uccidere il boss, e lo fanno camuffati con abiti di poliziotti. Provenzano durante l’agguato viene ferito alla mano dallo stesso Cavataio, che fingendosi morto riesce a puntare una pistola in faccia a Provenzanzo. Ma l’arma di Cavataio è scarica e Provenzano, nonostante la mano ferita riesce a colpire Cavataio col calcio dell’arma e infine a estrarre la pistola e a colpirlo a morte. Per la Strage di Viale Lazio, Provenzano e Riina sono stati condannati definitivamente all’ergastolo soltanto 43 anni dopo, nel 2012.
Saveria Benedetta Palazzolo - Nel 1970 inizia la sua relazione con la camiciaia di Cinisi, Saveria Benedetta Palazzolo, che da allora lo segue nella latitanza dandogli due figli, Angelo e Francesco Paolo, che diversamente dalla tradizione mafiosa non seguiranno il padre nella carriera criminale. Saveria Palazzolo e i figli sono tornati ufficialmente a Corleone pochi giorni prima della strage di Capaci.
II Guerra di Mafia - Nel 1981, con Riina, inizia lo sterminio dei mafiosi palermitani. Per terra finiranno 1.000 morti. Finita la carneficina, nell’83, è delegato da Liggio a far parte di un triumvirato per governare Cosa Nostra (Liggio, Provenzano, Riina). Nell’84: «Il capo è Luciano Liggio, nonostante sia detenuto. In sua assenza i reggenti sono Salvatore Riina e Bernardo Provenzano, con pari poteri; solo che Riina è molto più intelligente di Provenzano, e pertanto ha maggior peso». Anche lui, come Riina, in seguito alle dichiarazioni di Buscetta e ai riscontri trovati dal giudice Giovanni Falcone, viene condannato all’ergastolo in primo grado nel maxiprocesso, il 16 dicembre 1987, sentenza confermata fino alla Cassazione, il 29 gennaio 1992.
Le stragi del 1992 - A Maggio del 1992 il giudice Giovanni Falcone salta in area a Capaci assieme alla moglie a agli agenti della sua scorta. A Luglio toccherà a Paolo Borsellino. E’ l’attacco più violento e eclatante della mafia allo Stato. Arrestato Totò Riina, Provenzano diventa capo di Cosa Nostra, ma senza esercito, a disposizione di Leoluca Bagarella. Dopo una breve fase di spaccatura tra gli stragisti di Bagarella e i moderati di Provenzano, quando il 24 giugno 1995 viene arrestato Bagarella, Provenzano è libero di attuare la sua strategia di sommersione.
L’Ingegnere Lo Verde e il primo mancato arresto - Provenzano aveva un rapporto strettissimo con un altro concittadino di Corleone che però aveva fatto carriera politica, Vito Ciancimino. A Casa Ciancimino, lo dirà il figlio Massimo, Bernardo Provenzano era conosciuto come l’ingegnere Lo Verde. Il 31 ottobre 1995 il boss Luigi Ilardo (reggente mafioso della provincia di Caltanissetta) divenne confidente del colonnello Michele Riccio del ROS e gli rivelò che avrebbe incontrato Provenzano in un casolare nei pressi di Mezzojuso; Riccio allertò il colonnello Mario Mori ma non gli furono forniti uomini e mezzi adeguati per intervenire, i quali non riuscirono a localizzare con esattezza il casolare indicato da Ilardo. Successivamente, il 10 maggio 1996 Ilardo venne ucciso poco dopo aver cominciato la sua collaborazione con la giustizia. Riccio accusò Mori e i suoi superiori di aver trattato la faccenda con superficialità, dando inizio a varie inchieste giudiziarie che ancora non hanno chiarito la vicenda.
I Pizzini - Provenzano è molto attento ai controlli delle forze dell’ordine, un vero maniaco della sicurezza e per questo inventa un metodo raffinato di comunicazione, quello dei pizzini. Per comunicare con i suoi sodali e gestire appalti ed estorsioni si avvale della collaborazione in particolare di Giuseppe Lipari e Tommaso Cannella. Inventa un codice cifrato e si mette a scrivere pizzini a mano o a macchina (meccanica o elettrica), su un foglio bianco. Li sigillava con scotch trasparente, in modo che il postino potesse leggere il codice ma non il contenuto del messaggio. Ogni pizzino è diviso in tanti punti, chiamati “argomenti”, individuati da un numero o da un nome a cui devono fare riferimento i destinatari nel rispondere. Tipicamente sue l’invariabilità dei margini e dell’interlinea, e l’uso del capoverso.
I pizzini di Matteo Messina Denaro e le sedie “arrestate” a Marsala - A Montagna dei Cavalli i poliziotti hanno trovato diversi pizzini che Provenzano si scambiava con il boss castelvetranese Matteo Messina Denaro. In alcuni di questi l’argomento affrontato riguardava la città di Marsala e alcuni affari che ruotavano attorno. L'1 febbraio 2004, Messina Denaro scriveva a Bernardo Provenzano che non poteva ripondere alla sua richiesta, come a un'altra di Lo Piccolo, a cause delle ripetute azioni delle forze dell'ordine. Qui il contenuto del pizzino di Messina Denaro:
“(...) Mi chiede un favore su Marsala per la Vetro Sud, purtroppo non posso aiutarla perché al momento non abbiamo più a nessuno, sono tutti dentro, pure i rimpiazzi e i rimpiazzi dei rimpiazzi, non c'è più a chi metterci, c'è solo di aspettare nella speranza che esca qualcuno che ha cose più leggere e per potere riprendere tutti i discorsi. Si figuri che anche T mi ha chiesto un favore su Marsala e non lo posso aiutare, infatti ho dato a lui la stessa risposta che ho dato a lei, nella speranza che lui comprenda la situazione che si è venuta a creare su Marsala ed anche su altri paesi, purtroppo qua le batoste sono state a ruota continua e tra l'altro non accennano a finire, credo che alla fine arresteranno pure le sedie quando avranno finito con le persone. Dunque sarà compito mio appena ci sarà qualcuno a Marsala di informarla e quindi risolvere ciò di cui e T avete bisogno, credo che lei mi comprenderà perché avendo a che fare un po' con tutti di sicuro sa che ci sono altre zone al momento combinate come Marsala (...)".
La Personalità di Provenzano e la cattura di Riina - Non è mai stato facile capire la personalità di Bernardo Provenzano. Per alcuni di coloro che l’hanno conosciuto, secondo la loro convinzione, aveva il cervello di una gallina. Secondo altri al cospetto di Riina era Einstein. Secondo alcuni è stato un fantasma invisibile, ma che al momento buono batteva il colpo. Per altri molto più semplicemente è stato un grande doppiogiochista, in grado di tenere sospesi tutti i fili, sia mafiosi sia, addirittura, quelli istituzionali. Provenzano si sarebbe trovato al vertice strumentalizzando ai fini interni il repulisti messo a segno dallo Stato contro i suoi compagni di un tempo. Secondo Massimo Ciancimino fu proprio Provenzano a provocare l’arresto di Totò Riina, autorizzando il padre, Vito Ciancimino, a svelare il suo nascondiglio ai carabinieri.
Bagheria e i prestanomi - Bagheria, il comune alle porte di Palermo, è uno dei luoghi centrali nella vita di Provenzano, specie durante la sua latitanza. A Bagheria ha trovato importanti prestanomi come l’imprenditore Vincenzo Giammanco, accusato di essere prestanome di Provenzano nella gestione dell'impresa edile "Italcostruzioni SpA, e, sempre legato a Bagheria è l’altro imprenditore, che è stato per anni considerato il re delle cliniche e della sanità privata siciliana, Michele Aiello, accusato di essere il suo prestanome di fiducia. Secondo il collaboratore di giustizia Nino Giuffrè, Provenzano aveva fatto investimenti nella clinica Villa Santa Teresa, centro oncologico all'avanguardia di Bagheria di proprietà di Aiello. Per questi motivi, nel 2011 Aiello è stato condannato in via definitiva a quindici anni e mezzo di carcere per associazione di tipo mafioso, corruzione e accesso abusivo alla rete informatica della Procura.
Il viaggio a Marsiglia di “Gaspare Troia” - Nel gennaio 2005 la DDA di Palermo coordinò l'indagine "Grande mandamento", condotta dagli agenti del Servizio Centrale Operativo e del ROS dei Carabinieri, che portò all'arresto di 46 persone nella provincia di Palermo, accusate di aver favorito la latitanza di Provenzano e di aver gestito il recapito dei pizzini destinati al latitante; nel corso delle indagini si scoprì che nel 2003/04 alcuni mafiosi di Villabate avevano aiutato Provenzano a farsi ricoverare in una clinica di Marsiglia per un'operazione chirurgica alla prostata, fornendogli un documento falso con il nome di Gaspare Troia per il viaggio e il ricovero. Uno degli arrestati, Mario Cusimano (ex imprenditore di Villabate), cominciò a collaborare con la giustizia e rivelò agli inquirenti che la carta d'identità usata da Provenzano per andare a Marsiglia era stata timbrata da Francesco Campanella, ex presidente del consiglio comunale di Villabate. Nel settembre 2005 anche Campanella cominciò a collaborare con la giustizia e confermò di essere stato lui a timbrare il documento.
Il caso Attilio Manca - Secondo una pista investigativa, ad operarlo alla prostata sarebbe stato il giovane urologo Attilio Manca, trovato morto di overdose nel suo appartamento di Viterbo il 12 febbraio 2004. Dieci anni dopo il Gip di Viterbo ha archiviato il caso, anche se risulta strano che, essendo mancino, il medico si sia iniettato la droga nel braccio sinistro. Risultano ancora senza spiegazione anche i segni di colluttazione trovati sul cadavere e le impronte cancellate nell’appartamento.
L’arresto - Viene arrestato alle 11,15 dell’11 aprile 2006, in un casolare intestato al pastore Giovanni Marino, in contrada Montagna dei Cavalli, a meno di due chilometri dalla casa dove vive la famiglia. La svolta delle indagini è l’intercettazione che gli investigatori fanno delle staffette che portavano a Provenzano il cibo e biancheria. Individuato il casolare, lo tengono d’occhio con una telecamera piazzata in lontananza (un uomo entrava e usciva, chiudendo sempre). Quel giorno, invece, un braccio si sporge dall’interno per afferrare il sacchetto. Gli agenti sono sicuri ed entrano in azione. Dopo 43 anni di latitanza arrestano Provenzano.
Sono tante le reazioni del mondo politico e istituzionale alla morte di Provenzano. Ingroia - L’ex pm Antonio Ingroia definisce Provenzano non "solo un sanguinario capomafia, ma un abile uomo dello Stato, di quell'altro Stato che volle la trattativa e che per salvare se stesso scese a patti scellerati con Cosa nostra macchiandosi insieme alla mafia di Provenzano di delitti e stragi. Non mi stupirei se qualcuno di quest'altro Stato pensasse oggi che Provenzano meriti funerali solenni, funerali di Stato...". "Ci sono stati due Provenzano - aggiunge - il Provenzano 'u tratturi', detto così per la facilità con cui spianava, uccidendoli, i propri avversari, interni ed esterni alla mafia, e il Provenzano 'ragioniere', così soprannominato in quanto raffinato stratega mafioso che sapeva usare la violenza ma anche le arti della diplomazia bellica e della politica. Entrambi hanno sulla coscienza tante donne e uomini innocenti, vittime della violenza mafiosa. Ma lo Stato, quell'altro Stato, non è meno colpevole, avendo a sua volta sulla coscienza tante donne e uomini uccisi per proteggere Provenzano, come il medico Attilio Manca". "Troppi misteri - conclude Ingroia - con la morte di Provenzano non troveranno mai verità e giustizia. Misteri di mafia e misteri di Stato che il boss custodiva da anni e che purtroppo non ha mai voluto svelare. Li porta con se' nella tomba, lasciando una lunga scia di sangue".“
Pietro Grasso - “Bernardo Provenzano porta con sé tanti misteri, pezzi di verità che abbiamo il dovere di continuare a cercare perché il bisogno di verità e giustizia non muore mai” sono le parole del capo del Senato Pietro Grazzo ed ex magistrato.
Giuseppe Lumia, capogruppo Pd in commissione Giustizia e componente della commissione Antimafia: “Provenzano è morto. Mi auguro che adesso non venga santificato o trasformato in un mito, un ‘capo dei capi’ da celebrare. Sono sicuro che lo Stato impedirà un sontuoso funerale, magari proprio a Corleone”. Lumia parla anche della mancanza di un ‘Provenzano Collaboratore’, “con i miei occhi e con le mie orecchie nel carcere di Parma a 30 centimetri di distanza ho colto in Provenzano un’apertura senza precedenti. Un’apertura che lo Stato doveva verificare fino in fondo, piuttosto che scatenare polemiche, fughe di notizie e divisioni”.
“Nonostante la morte di Provenzano – conclude il senatore Pd – Cosa Nostra continua, va avanti con lo stesso Riina, Matteo Messina Denaro e i tanti boss ‘fine pena’ che sono ritornati ad ‘infestare’ il territorio”.
Questa la dichiarazione di Sonia Alfano - “Io l’ho conosciuto e ho parlato con lui diverse volte. Era un carnefice e spero che, almeno prima di morire, abbia chiesto perdono alle sue vittime. Ieri tutti gli italiani si sono riscoperti ingegneri ed esperti di treni. Oggi saranno tutti esperti di mafia e trattativa. Una cosa però è certa, Provenzano voleva collaborare e me lo disse in almeno due occasioni. E dopo questa ammissione cominciò a precipitare il suo quadro clinico con cadute molto misteriose. Oggi lui si porta nella tomba tanti segreti e qualcuno può continuare a dormire sonni tranquilli. La missione è stata portata a termine con successo.
Oggi ho rilasciato diverse interviste sulla morte di Provenzano. E regolarmente, subito dopo le mie affermazioni, i miei intervistatori mi facevano notare che le mie erano dichiarazioni molto forti. Ciò che ho dichiarato è esattamente questo: nessun familiare delle vittime di mafia esulterà per la morte di Provenzano perché solo i mafiosi esultano. Noi siamo diversi. Chi oggi ha esultato appartiene a pezzi deviati dello Stato. Quegli stessi pezzi dello Stato che hanno mandato a morire magistrati e forze dell’ordine in cambio della vita di delinquenti travestiti da ministri o presidenti del Consiglio. Ho infine detto che Provenzano mi aveva espresso la possibilità di collaborare con lo Stato e che dopo il penultimo colloquio lo trovai con il volto tumefatto e punti di sutura sull’arcata sopraccigliare. Lo stesso Provenzano, in dialetto, mi disse che non era la prima volta che veniva picchiato. E fu ridotto allo stato vegetativo per non parlare e raccontare i misfatti e i retroscena della trattativa.”