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28/08/2016 06:30:00

Terremoti, 50 anni di devastazioni. Il Belice, la non ricostruzione e l'identità perduta

“Amatrice non c’è più”, è la frase che più è rimbalzata su giornali, tv e internet a poche ore dal terremoto che ha devastato il centro Italia. A quattro giorni dal sisma sono 291 i morti accertati e 2500 gli sfollati tra Amatrice, Accumoli, Arquata del Tronto e Pescara del Tronto. Quello del 24 agosto che ha portato distruzione e morte in almeno quattro regioni, Lazio, Marche, Abruzzo e Umbria, è l’ennesimo evento naturale che si ripete in Italia ciclicamente da oltre cinquant’anni, e quel “non c’è più”, pronunziato quasi senza voce dal sindaco di Amatrice, il paesino conosciuto in tutto il mondo per la “Pasta all’Amatriciana”, si unisce idealmente ai paesi del Belice e dell’Irpinia, del Friuli come delle Marche, del Molise, l’Umbria e l’Emilia.

Cinquant’anni di devastazioni
Terremoto del Belice: 14 gennaio 1968, una forte scossa del nono grado della scala Mercalli colpisce la Sicilia Occidentale provocando 360 vittime e più di 57mila senzatetto. Terremoto in Friuli: Il 6 maggio 1976, alle ore 21, una scossa di magnitudo 6,4 della scale Richter colpisce il Friuli, il numero delle vittime fu di 939 e 80mila i senzatetto. Terremoto in Irpinia: Il 23 novembre 1980 una forte scossa di terremoto (6,5 scala Richter) interessa l’Irpinia, in provincia di Avellino, causando 2914 morti e oltre i 400mila senzatetto. Terremoto in Umbria e Marche: Il 26 settembre 1997 due scosse di magnitudo 6 della scala Richter colpiscono l’Italia centrale, le regioni di Umbria e Marche. Le vittime furono 11 e circa 40mila i senzatetto. Terremoto del Molise: Il 31 ottobre 2002 una scossa magnitudo 5,4 della scala Richer in Molise, i morti furono 30, tra questi 27 bambini rimasti vittime dal crollo della scuola elementare di San Giuliano di Puglia. Terremoto dell’Aquila: Il 6 aprile 2009 un terremoto di magnitudo 5,9 scala Richter con epicentro a 8 km dalla superficie rade al suolo la città dell’Aquila provocando 308 vittime. Terremoto in Emilia Romagna: Il 20 maggio 2012 una scossa di magnitudo 5.9 interessa il nord Italia nelle province di Ferrara, Modena, Mantova e Bologna, seguito da un nuovo evento sismico di magnitudo 5,8 il 29 maggio 2012 nella provincia di Modena. Tra la prima e la seconda scossa le vittime che si contarono furono 27.

In meno di cinquant’anni quasi cinquemila morti, oltre 500 mila sfollati e 120 miliardi di euro di soldi pubblici spesi per ricostruire. Ma il dopo terremoto in tutti questi casi non è stato mai all’altezza di un Paese civile, che rientra stabilmente, nonostante gli alti e bassi, nella classifica di quelli più sviluppati al mondo. Solo il Friuli è, forse, l’unico caso positivo di post terremoto. Con un’azione decisa dal Governo Moro già l’indomani venne nominato un commissario straordinario ad hoc e si intraprese quell’azione che portò alla ricostruzione di tutto, dalle case alle Chiese alle fabbriche, così come erano e dove erano prima del sisma. A metà anni ’80 gli ultimi sfollati tornarono nelle loro case. Quello del Friuli, l’esempio positivo di ricostruzione in Italia, purtroppo non ha avuto seguito. Il post terremoto dell’Irpinia è, assieme a quello del Belice, quello che segna la più grande sconfitta di un’amministrazione statale, e di quelle locali, incapaci di gestire la ricostruzione nonostante il fiume di denaro messo a disposizione. Ancora oggi, nonostante paghiamo ogni volta che facciamo carburante 4 centesimi di euro per litro, non si è riusciti a completare i lavori e i fondi stanziati sono “evaporati” altrove. Per quanto riguarda il dopo terremoto del Belice, che ci riguarda più da vicino, la situazione è pressochè uguale.

La bramosia della classe politica non ha avuto limiti, e ancora oggi, a 48 anni di distanza la ricostruzione non è completa, si attendono nuovi stanziamenti e qualche mese addietro una delegazione della Commissione Ambiente del Senato ha visitato i Comuni della Valle del Belice per verificare lo stato di attuazione dell'opera di ricostruzione. Oltre alla incapacità di rimettere in piedi un Paese, nel Belice e in particolare a Gibellina, c’è stata anche una violenza nei confronti di una cittadina che ha perso la sua identità, perchè ricostruita ad una decina di chilometri di distanza e realizzata da una schiera di case fredde e tutte uguali che il sindaco Ludovico Corrao cercò di “umanizzare” invitando diversi artisti internazionali. Perdita di identità che l'accomuna più recentemente alla situazione vissuta a L’Aquila dopo il terremoto del 2009, con la “New Town” di Berlusconi, una città di plastica, dove, dopo sette anni si continua a vivere nei moduli abitativi provvisori.

A poche ore dal sisma il premier Renzi ha promesso che nessuno sarà lasciato solo. Forse avrebbe fatto bene a starsene zitto. Sono parole retoriche le sue, anche se comprensibile la necessità di ribadirle visto quello che è successo nei cinquant’anni precedenti. E’ normale che lo Stato sia vicino ai propri cittadini, o meglio, dovrebbe esserlo, quando accade un evento così tragico; è nei valori fondamentali di una Repubblica. Se non è capace di risposte forti e risolutive in questi casi, quando dovrebbe farlo.  Ora, però, bisogna metterlo in sicurezza questo Paese che da nord a sud si trova esattamente sul confine che divide la placca Africana da quella Euroasiatica, e i terremoti inevitabilmente continueranno ad esserci anche in futuro. Oltre alla ricostruzione i nostri politici dovrebbero pensare e attuare un vero piano antisismico, metterlo al centro dell’agenda politica e non solo annunciarlo ad ogni terremoto, come del resto si è fatto per l’altro grande problema italiano del dissesto idrogeologico, che in Italia, puntualmente ad ogni autunno e inverno è causa di disastri.

Questo Governo, come quelli che lo hanno preceduto, non ha fatto assolutamente nulla, come se non fosse un problema di vitale importanza per il Paese, e per il suo patrimonio da conservare, e di questo dovremmo ritenerci un po’ tutti responsabili. Ecco, forse il premier Renzi per essere pienamente convinto del rischio che si corre, dopo la visita ai posti terremotati dovrebbe andare anche negli altri luoghi dove i grandi terremoti del passato hanno lasciato grandi ferite. A Gibellina, ad esempio, c’è il Cretto di Burri, una delle più grandi opere d’arte contemporanee al mondo, sorta dalle rovina della vecchia Gibellina, un luogo dove l’artista Alberto Burri, - che si rifiutò di realizzare una sua opera nella nuova Gibellina – ha creato questo monumento all’orrore, fatto dalla vie e i vicoli della vecchia città, un tentativo di congelare la memoria storica, e in un certo qual modo di mantenere l’identità del paese. Ecco, questo Paese deve ritrovare la sua identità per andare avanti, un Paese che ha dato i natali a Leonardo e Michelangelo, che ha il più grande patrimonio artistico e culturale al mondo, non può continuare a non avere coscienza del pericolo che corre. La speranza, in un futuro più sicuro, anche per quelle persone che si ritrovano con la perdita di un proprio caro sotto le macerie e a non avere più nulla, non può che basarsi su una ritrovata identità di un Paese in grado di formare eccellenti studiosi, architetti e ingegneri che sempre più spesso sono i realizzatori di importanti opere pubbliche in giro per il mondo. Perchè non puntare sul loro sapere e la loro esperienza per dare un contributo decisivo ad un piano di consolidazione antisismica? Se si fosse investito nella prevenzione all'indomani del terremoto del Belice non ci sarebbero state le migliaia di vittime che ancora oggi l'Italia piange.

Carlo Antonio Rallo