I carabinieri stanno eseguendo un’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal Gip di Palermo su richiesta della Direzione distrettuale antimafia, nei confronti di 12 persone, accusate a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione e danneggiamento. Contestualmente sarà applicata la misura di sicurezza della libertà vigilata per due anni a due persone accusate di essere mandanti di un progetto di omicidio.
L’operazione, nata da una indagine del nucleo investigativo del gruppo di Monreale e dalla compagnia carabinieri di Corleone, colpisce il mandamento mafioso di Corleone e delle famiglie di Chiusa Sclafani e Palazzo Adriano e ha consentito di ricostruire gli assetti di vertice dei clan e i rapporti con le ‘famiglie’ vicine.
Il nome più autorevole fra gli arrestati è quello di Carmelo Gariffo, il nipote prediletto di Provenzano. Al funerale dello zio capomafia, era in prima fila davanti all’urna con le ceneri del vecchio padrino. Un’immagine simbolo. Gariffo conosce i segreti della vecchia mafia corleonese. Perché è stato più di un nipote prediletto, è stato a lungo il segretario di Bernardo Provenzano, è stato l’ultimo amministratore della rete dei pizzini distesa in lungo e in largo per la Sicilia. Lui era il codice “123”, Matteo Messina Denaro, ancora oggi latitante, era “Alessio”.
Gariffo poteva contare su un gruppo di fedelissimi: l’allevatore Bernardo Saporito gli faceva da autista; l’operaio forestale stagionale Vincenzo Coscino, da gregario. Il giudice delle indagini preliminari Fabrizio Anfuso ha firmato un’ordinanza di custodia cautelare anche per un altro forestale a contratto, Vito Biagio Filippello. Fra gli arrestati, il capo cantoniere Francesco Scianni, il figlio del capomafia Rosario Lo Bue, Leoluca, e Pietro Vaccaro, gli ultimi due sono allevatori. Hanno ricevuto un’ordinanza in carcere per le estorsioni Antonino Di Marco, Vincenzo Pellitteri e Pietro Masaracchia, boss già arrestati qualche mese fa; Masaracchia era stato intercettato mentre parlava di un progetto di attentato contro il ministro dell’Interno Angelino Alfano. Libertà vigilata, invece, per due proprietari terrieri, gli omonimi Francesco Geraci, nipote e figlio di un capomafia deceduto: si erano rivolti al clan per uccidere un parente, che ritenevano di troppo nella divisione di un’eredità. Il piano di morte non è stato messo a segno per l’intervento dei carabinieri. “Il compare del tabacchino” temeva di perdere l’eredità. A mali estremi, rimedi estremi: avrebbero deciso di assoldare dei killer per sbarazzarsi del terzo incomodo. Con “tremila euro”, tanto valeva la vita di un uomo, avrebbero messo le cose a posto. I carabinieri hanno documentato tutte le fasi preparatorie dell’omicidio.