La cifra di partenza l’ha indicata pochi giorni fa l’amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato, Renato Mazzoncini: «Il Ponte sullo Stretto — ha detto — è un’infrastruttura che dal punto di vista costruttivo costa 3,9 miliardi di euro». Bene, ma chi li dovrebbe mettere tutti questi soldi, pari a quello che abbiamo pagato con la vecchia Imu sulla prima casa, giusto per avere un’idea? La storia del Ponte è lunga, piena di accelerazioni e di ripensamenti. Ma negli ultimi anni si è sempre pensato che toccasse ai privati, con il modello del project financing: i soldi li mettono le imprese che realizzano l’opera e poi li recuperano attraverso i pedaggi pagati da chi attraversa lo Stretto. Così, però, i miliardi raddoppiano. Perché al costo vivo dell’opera si devono aggiungere gli oneri finanziari, cioè gli interessi che le imIl programma Tra qualche mese è attesa la presentazione dello studio di fattibilità prese devono pagare alle banche che prestano i soldi necessari. Da 4 miliardi, quindi, si passa a 8. Nasce da questo calcolo l’idea del governo, annunciata dal ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio, di un intervento diretto dello Stato. Lo stanziamento per il Ponte si dovrebbe aggirare intorno ai 2 miliardi di euro. La metà del costo vivo. Per capire meglio come stanno le cose bisognerà aspettare ancora qualche mese, con la presentazione dello studio di fattibilità. Ma si sta approfondendo anche l’ipotesi di utilizzare fondi europei, visto che il Ponte è un pezzo del corridoio Napoli-Palermo, considerato fondamentale da Bruxelles per lo sviluppo del Sud d’Italia e d’Europa. Soldi pubblici, nazionali ed europei. Il tutto per escludere o limitare al massimo la partecipazione diretta dei privati e quel modello di project financing, spesso invocato per esorcizzare la mancanza di fondi pubblici. E che non ha sempre dato buona prova di sé. Anzi. Una ricerca della Bocconi di qualche anno fa diceva che le opere realizzate con il project financing, o finanza di progetto per chi preferisce l’italiano, falliscono nell’88% dei casi. Ma anche quando si arrivare all’inaugurazione non tutto fila liscio. Spesso l’opera finisce per scaricare indirettamente sul pubblico quei costi che il privato dovrebbe recuperare con la gestione e gli incassi. E questo perché viene sovrastimato il livello di utilizzo dell’opera e il relativo flusso dei pedaggi. Un rischio che, evidentemente, ci sarebbe anche per il Ponte sullo Stretto. L’intervento diretto dello Stato, in compartecipazione con Bruxelles, sarebbe un modo per eliminare questa incognita. Ma prima c’è un altro nodo da sciogliere, che riguarda sempre il rapporto fra pubblico e privato. Nel 2005 l’appalto per il Ponte sullo Stretto venne vinto dal consorzio di imprese Eurolink. Nel 2012 il governo Monti ha annullato per decreto il contratto con Eurolink. Da lì è nato un ricorso del consorzio che chiede allo Stato 900 milioni di euro di danni, interessi compresi. Secondo l’Avvocatura dello Stato la somma dovuta può arrivare al massimo a 30 milioni di euro. La causa è ancora in corso, con i tempi non proprio sprint della giustizia italiana. È interessante capire chi pagherà il Ponte che (forse) si farà. Prima, però, sarebbe bello sapere chi pagherà per il Ponte che non c’è.