Nuovo capitolo del caso della singolare associazione antiracket di Marsala, quella che due anni fa si è trasformata in Associazione Antiracket e Antimafie “Paolo Borsellino” onlus.
Campione nella costituzione di parte civile nei processi di mafia di mezza Italia negli ultimi giorni è stata “scomunicata” da Manfredi Borsellino, figlio del magistrato ucciso nell'attentato di Via D'Amelio.
"Diffido l'associazione antimafia e antiracket di Marsala, che sembra particolarmente impegnata sul fronte delle costituzioni di parte civile nei processi contro la criminalità organizzata, a utilizzare il nome di mio padre Paolo Borsellino", ha dichiarato all'Ansa il vice questore Manfredi Borsellino. "Solo oggi - spiega il figlio del giudice ucciso il 19 luglio 1992 - ho appreso da fonti d'informazione telematiche dell'esistenza dell'associazione Paolo Borsellino onlus. Diffido pubblicamente i suoi promotori e fondatori, persone peraltro a me e alle mie sorelle sconosciute, dal continuare a utilizzare indebitamente il nome di nostro padre. Non abbiamo mai dato alcuna liberatoria".
E l'associazione è intervenuta, con una lunga nota, cercando di chiarire alcuni aspetti della vicenda. Comincia col dire che le parole di Manfredi Borsellino “non sono quelle diffuse ad arte da alcuni organi di informazione”. L'associazione – per via del presidente Antonino Chirco - smentisce le dichiarazioni di Borsellino: “Non risponde al vero che l’Associazione è stata diffidata ad utilizzare il nome del Magistrato Paolo Borsellino”. Ma Borsellino lo ha fatto pubblicamente con una dichiarazione all'Ansa.
Poi però l'associazione si smentisce da sola e conferma che non c'è stato un vero e proprio consenso ad utilizzare il nome del giudice Borsellino.
Nella fase di trasformazione da Antiracket di Marsala ad associazione Antiracket e Antimafie Paolo Borsellino – spiega la nota - “sono stati contattati alcuni familiari per la preventiva autorizzazione, giungendo ad una corrispondenza con il dottor Manfredi Borsellino che, in una sua mail di risposta delle ore 23,16 del 18 maggio 2014 apprezzava il nostro garbo d’aver chiesto l’autorizzazione ad utilizzare il nome del padre, garbo che in passato altre associazioni o premi non avevano avuto. In quella circostanza lo stesso ci augurava il raggiungimento di risultati importanti. Qualche giorno dopo (21 maggio 2014) comunicammo il cambio di denominazione e non seguì altra corrispondenza”. L'associazione, insomma, ha adottato il criterio del silenzio assenso, che può funzionare per i burocrati e le pubbliche amministrazioni ma non certo in questi casi, come visto.
“Con ogni probabilità il nostro errore è stato quello ritenere, la mail di risposta sopra ricordata, come un “avallo” alla nostra attività, avallo che, evidentemente, non c’è mai stato”, ammette l'associazione dopo la sfuriata ad inizio nota. ”Ne prendiamo atto, anche a fronte della notizia ANSA dei giorni scorsi, rivalutando la predetta mail come un’espressione di generico interessamento all’iniziativa e non come un avallo. E’ stato, evidentemente, un errore di valutazione dettato dall’entusiasmo di cui ci scusiamo sinceramente”. Un pasticcio bello e buono. Confermato anche dal verbale della riunione degli associati quando si decise di cambiare nome. In quell'occasione l'allora presidente Enzo Campisi riferiva di aver fatto un giro di telefonate “ottenendo l'avallo di tutti i componenti della famiglia Borsellino nella denominazione, fatto giudicato dal presidente stesso quale segno non trascurabile di consenso per l'associazione”. Ma oltre questo, nessun consenso formale ci sarebbe stato da Manfredi Borsellino, che contesta soprattutto ciò che è diventata l'associazione che porta il nome del padre.
Ossia l'attività di costituzione parte civile ai processi sparsi per mezza Italia, anche se l'associazione non svolge una concreta attività sui territori.
“Le costituzioni di parte civile nei processi penali sono state fatte intanto per conto e nell’interesse di molte vittime delle mafie”, tenta di difendersi l'associazione. E spiega come la pensa: “non ha senso costituirsi come società civile (sarebbe parte civile, ndr), attraverso gli enti locali o le associazioni, nei processi se poi i dati processuali non vengono materialmente trasferiti verso la pubblica conoscenza”. Quali dati, sono stati portati, ad esempio, in questi anni alla “pubblica conoscenza”?
Tra le attività decantate dall'associazione c'è quella della stipula di “un protocollo d’intesa con il Movimento Difesa del Cittadino (regione Sicilia) e ciò ci ha permesso d’utilizzare, a costo zero, le sedi di quel movimento sparse in quasi tutte le provincie siciliane”. Da evidenziare che il dominus Peppe Gandolfo, avvocato che porta avanti la costituzione di parte civile a tappeto, è responsabile del Movimento Difesa del Cittadino di Marsala, come un parlarsi allo specchio, in sostanza.
Cercano poi di giustificare che non hanno ottenuto alcune somme, che hanno restituito i soldi erogati dalla Regione (7 mila euro), che le parcelle liquidate all'avvocato Peppe Gandolfo decise nelle sentenze sono irrisorie (2.500 euro, meno tasse e imposte varie). Ma è anche vero che nel bilancio 2014, l'ultimo disponibile, figurano sì i 7 mila euro della Regione che dicono aver restituito, ma anche contributi isitituzionali dal Consap per 26.033 euro. Soldi che sono finiti per “compensi professionali” per 28.360 euro.
L'associazione parla di portare “nelle scuole, in mezzo alla società civile, ad ogni utile occasione tutto quello che avviene nei Palazzi di Giustizia, volendo far scorrere la conoscenza dei fatti lungo tutto il nostro Paese”. Assicurano che l'attività dell'associazione ”è priva di ogni tipo di venalità, non mira alla cattura di guadagni o consensi”. Ma hanno giocato molto, e con poco gusto, sulla visibilità, come in occasione del funerale del maresciallo Silvio Mirarchi, a Marsala, esponendo a tiro di telecamere lo striscione dell'associazione.
“Le costituzioni di parte civile nei processi penali sono state fatte intanto per conto e nell’interesse di molte vittime delle mafie; non ci siamo mai permessi anche per un solo istante di sfruttare l'intoccabile e inviolabile nome del dottor Paolo Borsellino”. Una tesi che però sta cominciando a non convincere i giudici dei processi a cui l'associazione si costituisce parte civile. Come per il procedimento sull'operazione “Cemento del Golfo” - che riguarda tra gli altri l’imprenditore iscritto all’associazione antiracket di Alcamo Vincenzo Artale, accusato di aver fatto affari con la mafia. In questo caso l'associazione è stata esclusa, sia per motivi territoriali ma anche alla luce delle dichiarazioni di Manfredi Borsellino. Questo è stato un primo effetto delle parole di Manfredi Borsellino, con cui, adesso, l'associazione dichiara di volersi mettere in contatto per chiarire la situazione.