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08/12/2016 06:30:00

Mafia, la storia di Melchiorre Allegra il medico mafioso e "proto-pentito"

Nella storia di Cosa Nostra siciliana, sono tre le figure che è possibile considerare come i più importanti collaboratori di giustizia. Uno è Tommaso Buscetta, considerato il pentito di mafia più importante, perchè ha iniziato a raccontare tutto sulla mafia moderna: organigramma, rituali,  composizione e ordinamento territoriale e ha permesso di portare al maxiprocesso processo tutti i capi della cupola negli anni ‘80. Il secondo è Leonardo Vitale che ha anticipato Buscetta, ma non creduto, è stato rinchiuso nel manicomio criminale di Barcellona Pozzo di Gotto e dopo sette anni quando uscì venne ucciso da due colpi di lupara alla testa. Nel 1986 Giovanni Falcone durante il maxiprocesso gli ha reso omaggio così: "A differenza della Giustizia dello Stato, la mafia percepì l'importanza delle sue rivelazioni e lo punì inesorabilmente per aver violato la legge dell'omertà. È augurabile che, almeno dopo morto, Vitale trovi il credito che meritava e che merita. Infine, ma la sua storia inizia molto tempo prima, Melchiorre Allegra, il medico di Castelvetrano, nato a Gibellina nel 1881, specialista in malattie infettive e titolare di una casa di cura, considerato dagli studiosi del fenomeno mafia addirittura come il "proto-pentito", il primo pentito di mafia della storia. Si deve alle sue dichiarazioni fatte nel 1937, quando vene arrestato in una retata di mafiosi tra Castelvetrano, Gibellina e Santa Ninfa, la prima descrizione della struttura dell’organizzazione criminale, del rito d’iniziazione del mafioso, i dettagli e i nomi della criminalità organizzata siciliana degli anni venti e trenta.  Purtroppo il verbale di quelle dichiarazioni che racchiudono la vicenda personale del medico mafioso, per 25 anni è rimasto chiuso in un cassetto disperso in qualche ufficio della Procura di Trapani e solo grazie al lavoro del giornalista Mauro De Mauro, la storia di Melchiorre Allegra fu resa pubblica nel gennaio del 1962, quando furono pubblicate a puntate sul quotidiano palermitano L'Ora, 25 delle 26 pagine del verbale di interrogatorio (la 26^ non fu mai trovata). Nonostante la pubblicazione su L’Ora, la Commissione Antimafia ne venne a conoscenza solo nel 1963, quando a portare il verbale fu il deputato Girolamo Li Causi, segretario regionale del Pci.

Carriera e affiliazione
Allegra era medico ufficiale, in forza al reparto malattie infettive dell'ospedale militare San Giacomo di Palermo. In quel periodo, è lui stesso a raccontarlo, durante l’interrogatorio visita, cura ed omette di denunciare dei soldati autolesionisti. Per quella sua disponibilità mostrata nei confronti di un parente del mafioso Giulio D'Agate di Villabate, fu da avvicinato da quest’ultimo assieme ad altri due boss Francesco Motisi e Vincenzo Di Martino, che gli svelarono la loro appartenenza all'organizzazione e lo invitarono a farne parte. Allegra accettò, anche se durante il suo interrogatorio disse che era consapevole che a quel punto, per quello che gli era stato detto, non poteva più dire di no. Dopo l’affiliazione che, De Mauro riportò nelle pagine de L’Ora così: "Con uno spillo o ago che fosse, mi punse il polpastrello del dito medio di una mano, facendo uscire una goccia di sangue con la quale venne intrisa una immagine in carta di una santa". L'immaginetta fu incendiata e, con quella fiammeggiante in mano, pronunciò: "Giuro di essere fedele a miei fratelli, di non tradirli mai, di aiutarli sempre, e se così non fosse, io possa bruciare e disperdermi, come si disperde questa immagine che si consuma in cenere". Entrato nell'organizzazione nel 1917, fu accolto dalla "famiglia" del rione Pagliarelli il cui capo era Ciccio Motisi, cugino di quel Francesco che lo aveva iniziato. Conobbe poco dopo Ciccio Cuccia, il sindaco mafioso di Piana degli Albanesi praticamente confinato a Palermo per una guerra di famiglie in corso nel suo paese; uno dei suoi principali avversari era Tommaso Matranga, altro nome di rilievo della criminalità del tempo.

Le rivelazioni
Allegra disegna la geografia di un potere inossidabile, delle antiche famiglie mafiose siciliane: i Cottone e i Saccone di Villabate, Greco e Crivello di Cruillas, Vitale di Altarello di Baida, Calò di Rocca, Trifirò di Monreale, Gentile di San Lorenzo, Motisi di Pagliarelli. Il gran capo era Paolo Virzì, anche se poteva capitare che la soluzione di una guerra tra le varie famiglie venisse affidata ad una delegazione in arrivo dagli Stati Uniti. Le sue dichiarazioni riscrivono inoltre i rapporti tra la mafia e il fascismo, almeno fino all'intervento del Prefetto Mori. Racconta dettagliatamente la composizione e la struttura di Cosa Nostra. La struttura mafiosa aveva per unità di base la "famiglia", guidata da un capo, che comprendeva tutti gli "uomini d'onore" di alcuni paesi. Se il territorio di una famiglia era troppo grande, questa veniva suddivisa in "decine" che, come la decuria dell'Antica Roma, avevano ciascuna dieci aderenti ed un capo-decina. Si saliva gerarchicamente sino ad un capo di "provincia" e ogni provincia ne aveva uno ed ognuna di queste provinces era indipendente dalle altre. La Mafia, secondo quanto riferì Allegra, aveva peraltro affiliazioni potenti, oltre che in Sicilia, in Tunisia, nelle Americhe, in qualche centro del continente, in qualche altro di altre nazioni, come per esempio,  in Francia a Marsiglia.

Allegra e le regole della mafia
Allegra fece mettere a verbale che al mafioso era vietato rubare, ma poteva uccidere per giustificati motivi, sempre però con il benestare dei "capi": chi uccideva senza benestare veniva a sua volta ucciso. Muniti di benestare, invece, si poteva anche chiedere di farsi aiutare da altri "fratelli". Il sodalizio era in genere apolitico, ma poteva attivarsi in favore di quei candidati che possibilmente potevano in seguito ricompensare provocando da parte del governo la maggior protezione possibile.

Gli arresti e la carriera criminale
Allegra venne arrestato per la prima volta nel 1928. Nel ‘24 un medico suo collega aveva ricevuto una lettera anonima estorsiva, con la quale gli si chiedevano soldi e la pena in mancanza sarebbe stata l'uccisione. Si era adoperato per individuare l'autore della lettera, e una volta trovato gli ingiunse di rinunciare al proposito e di scrivere una nuova lettera di scuse. Nel 1928 la lettera anonima fu trovata ad Allegra, e venne fermato dalla polizia. In seguito fu a processo imputato di favoreggiamento personale ma venne assolto perché il fatto non costituiva reato. Fu indagato due volte per procurato aborto ed entrambe le volte prosciolto per insufficienza di prove. Altre indagini riguardarono un caso di omissione di cure mediche verso un criminale, e per questo rischiò l'espulsione dall'Ordine dei Medici. Nel 1933 fu accusato di favoreggiamento per la fuga di un soggetto latitante al momento dell'arresto per aver commesso un "reato infamante". Nel 1937 fu infine tratto in arresto per il suo coinvolgimento nell'eliminazione di un mafioso, un certo Ponzio. Interrogato dapprima dai Carabinieri della stazione di Castelvetrano, poi dagli agenti dell'ufficio del Settore di P.S. di Alcamo, rilasciò la lunga deposizione trascritta nel famoso verbale d'arresto poi dimenticato. Quando venne arrestato in provincia di Trapani il potere plurisecolare di Cosa Nostra già allora s'intrecciava con quello della massoneria, che qui aveva avuto la sua antichissima origine con l'associazione segreta dei Cavalieri del Muro, nata alla metà del quattordicesimo secolo. Allegra aveva cinquantacinque anni e una lunga carriera alle spalle. Non stupì che un borghese del suo calibro facesse parte di Cosa Nostra, in provincia già all’epoca era quasi la regola che la famiglia venisse guidata da un professionista affermato.