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03/04/2017 15:45:00

Le "Lettere dal terzo millennio" di Alessio Arena. Una recensione

 «Benedetto Croce», ricordò sovente Fabrizio De André, «diceva che fino all'età dei diciotto anni tutti scrivono poesie. Dai diciotto anni in poi, rimangono a scriverle due categorie di persone: i poeti e i cretini». Alessio Arena è un ragazzo palermitano che, superata da due anni la fatidica soglia crociana, ha scelto di continuare ad abitare la lingua della poesia offrendo ai lettori Lettere dal terzo millennio, sua ultima fatica letteraria pubblicata pochi mesi fa per i tipi di Mohicani Edizioni.

La silloge raccoglie trenta epistole poetiche indirizzate alle generazioni vicine e lontane nella speranza che queste possano ricavarvi degli utili segnali per decifrare le complessità del nostro catastrofico tempo. L’autore, dal suo «giovane» punto di vista, si propone di rispondere alla follia autodistruttiva del mondo con la voce di versi fiduciosi nell’avvenire: «Verso un punto di sosta/ procediamo decisi/ a superare Alessandria,/ ad accendere una luce/ che abbagli il sole/ in un lampo d’ego» (da Ai miei contemporanei p. 43).

Al fine di perseguire il suo alto intento, ritrova addirittura nei disordinati cassetti quasimodei il Discorso sulla poesia del 1953 e rispolvera l’idea della poesia che si fa etica grazie alla sua «resa di bellezza», infatti per Alessio Arena la Poesia - le maiuscole sono d’obbligo - è proprio una preghiera laica alla Bellezza: verrebbe da chiedersi, a questo punto, se la sveglia poggiata sul comodino del premio Nobel di Modica non sia ancora suonata per destare le nuove leve dai loro incubi estetici. Il desiderio di rubare la cetra appesa alle fronde dei salici sta diventando più forte dell’intenzione di partecipare alla malìa della poesia e della sua genesi.

Il terzo millennio, allora, si aprirebbe con «l’ultimo devoto della Bellezza […], il sacerdote di una religione morta prima di lui» (questi non era Quasimodo? Ricorderò male), ma sicuramente non con un nuovo poeta. Perché l’opera di Arena è ascrivibile più al sovrabbondante genere del “poetichese” che alla rara natura della poesia. Il suo modo di versificare è lezioso, banale (Mai,/ non saprete mai/ come cambia il mondo/ quando lei è con me/ e come cambio in me/ quando lei è nel mondo, da Giorno dopo giorno p. 15), un tentativo di ricalcare il “fare poetico” di un certo cantautorato pop (Siamo esuli,/ siamo santi,/ siamo già tutto ciò/ che sosterremo di essere, da Siamo ciò che siamo p.28) associato ad un romanticismo degno dei post-it di Francesco Sole (Se vuoi/ essere con me/ e vedermi finalmente/ brillare,// chiudi gli occhi/ ed è già notte, da Mattina p. 45).

Arena è stato proposto dall’Accademia de’ Nobili di Firenze come persona qualificata per la candidatura al premio Nobel per la letteratura. Se superfluo è entrare nel merito della giustezza della designazione, doveroso è capire che la poesia è un’incessante indagine sulle possibilità, offerte dal linguaggio, di disvelare il reale e intuire la sua natura prima. Tutto ciò è inconciliabile con il moto di accelerazione dettato dai principi di visibilità social, eppure poco pare interessare, anzi si potrebbe confutare ricordando che…

Il colore del caldo
è un concerto
agli occhi di chi corre.
(da Il colore caldo p. 12)

 

Marco Marino