di Leonardo Agate - Come tutte le persone cadute in disgrazia, Matteo Renzi mi fa pena. Finché era pimpante e rottamatore, dopo un periodo di parziale sentimento favorevole verso di lui che mi sembrava una novità nella stanca politica italiana, con il passare dei mesi e con la vista degli scarsi risultati conseguiti, ho cominciato a perdere la mia fiducia in lui, e a criticarlo nei miei articoli. Così ho pure votato “no” al referendum costituzionale, oltre che per il pessimo progetto di riforma, anche per dare una scoppola politica al governo, e per mandarlo a casa. Del mio parere è stato il 60% degli elettori.
Il primo ministro si è dimesso, il governo è caduto. Renzi si è pure dimesso dalla segreteria del Pd, che tiene provvisoriamente in attesa della nomina del nuovo segretario, che spera sia lui. Probabilmente in questo ci riuscirà, perché ha il partito, o quel che resta del partito, in mano. Ma dopo ci saranno le elezioni amministrative, e dopo ancora, in autunno o la primavera prossima, le politiche. Con le elezioni amministrative e politiche prenderà probabilmente nuove batoste.
Già l’hanno lasciato i rottamati, che hanno formato un nuovo partito di sinistra, Articolo 1. Dicono che accredita un 4 – 5 per cento di elettorato renziano. La Bindi, pasionaria del Pd, ha dichiarato che a fine legislatura lascerà il Pd, che avrebbe mutato natura diventando PdR (Partito democratico di Renzi). Molti osannanti vecchi amici dell’ex capo, visto che il carro del vincitore si sta trasformando nel carretto del perdente, gli si allontanano inesorabilmente ogni giorno di più.
Per una che gli va bene, a Renzi, un paio gliene vanno male. Intanto si è pure ingrassato, le giacche non gli si abbottonano più. Il nervosismo può fare di questi effetti sull’aspetto.
E’ di due giorni fa la notizia che nell’inchiesta Consip si è scoperto che una frase attribuita a Alfredo Romeo – “Renzi l’ultima volta che l’ho incontrato” – in effetti è stata detta da Italo Bocchino. Il relatore del Noe, Giampaolo Scafarto, l’ha attribuita all’imprenditore, che si trova in carcere, invece è stata pronunciata da un ex parlamentare, indagato per traffico di influenze.
Matteo Renzi, dopo la notizia dell’errore, trionfante, davanti le telecamere ha annunciato che la verità finalmente viene a galla. I suoi ultimi sodali parlano di complotto contro il loro capo, e naturalmente di servizi deviati. Intanto gli altri tasselli dell’inchiesta, messi assieme dalla procura di Napoli e da quella di Roma, restano in piedi, e sono numerosi. Per Tiziano Renzi e l’amico di famiglia Carlo Russo restano in piedi le accuse dei pm per traffico di influenze illecite. Per Luca Lotti, ministro, la magistratura romana indaga per rivelazione di segreto e favoreggiamento. Ugualmente risultano indagati il comandante dell’arma dei carabinieri Del Sette e il comandante della legione toscana Saltalamacchia.
Il ragazzo di Rignano può dichiarare quel che vuole, ma la verità che viene a galla, e quella che potrà venire, non è tranquillizzante per la sua sorte.
Poi, ci si mette pure Rai3, che l’altra sera ha mandato in onda un’inchiesta di Report sull’acquisto della maggioranza delle quote della società editrice dell’Unità, lo storico giornale fondato da Gramsci, e organo ufficiale, ormai, del PD. Nell’inchiesta si rileva che l’imprenditore Pessina, nel 2015, in cattive acque per non ricevere più commesse pubbliche, compra l’Unità, che perde ogni mese decine di migliaia di euro. Dal momento in cui diventa il maggiore proprietario del giornale, Massimo Pessina comincia ad ottenere nuove commesse per le sue aziende, in Italia e all’estero.
L’ex capo del governo, avuta notizia dell’inchiesta di Report, la definisce falsa, calunniatoria e diffamatoria. Report va lo stesso in onda. Il tesoriere del Pd, Francesco Bonifazi, annuncia querele contro Report e il Fatto Quotidiano, che ha preannunciato il contenuto della trasmissione.
Un’altra vicenda, non meno ingarbugliata di quella Consip, si sta aprendo per il presunto conflitto di interessi tra il governo di Matteo Renzi, quando era in piedi, l’imprenditore Pessina e il giornale di partito acquistato dall’imprenditore. Il conflitto di interessi non è un reato. La legge che dovrebbe prevederlo era auspicata dalla sinistra ai tempi in cui governava Berlusconi. Quando ha governato la sinistra è rimasta tra le cose da fare. Ma, gratta gratta, sotto i conflitti di interesse possono germogliare fior di reati.
La verità, forse, verrà a galla. Ma la posizione di Matteo Renzi sta diventando tale che il ragazzo comincia a farmi pena.