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23/04/2017 00:00:00

Mazara, Greenpeace denuncia il peschereccio "Eighteen". Pinne di squalo a bordo

Il peschereccio italiano “Eighteen“, della compagnia siciliana Asaro Matteo Cosimo Vincenzo, impegnato nella pesca nei mari della Sierra Leone, è stato fermato dalle autorità africane perché a bordo sono state trovate pinne di squalo. Lo comunica la ong Greenpeace spiegando che la segnalazione è stata fatta da attivisti dell’associazione ambientalista che erano a bordo della nave Esperanza durante attività di monitoraggio contro la pesca illegale nei mari dell’Africa occidentale, condotte in queste settimane e fino agli inizi di maggio, insieme alle autorità di nazioni costiere come Guinea Bissau e Sierra Leone.

Lo “shark finning“, cioè il taglio delle pinne degli squali e il successivo rigetto della carcassa in mare, “non è proibita dalla legislazione della Sierra Leone, ma il divieto di rimozione delle pinne di squalo è invece previsto dalla normativa Ue e si applica a tutti i pescherecci europei e in tutti i mari – ricorda Greenpeace. “La normativa Ue vieta inoltre la detenzione, il trasbordo e lo sbarco di pinne di squalo da pescherecci europei. Siamo di fronte a una chiara violazione, il primo caso che ci risulta coinvolgere direttamente un peschereccio italiano in un’attività illegale di shark finning” commenta Serena Maso di Greenpeace Italia auspicando “severe misure nei confronti dei responsabili, sia da parte della Commissione europea che dall’Italia”.

La pratica del finning, aggiunge, “contribuisce a decimare le popolazioni di squali, fondamentali per mantenere in equilibrio la salute degli oceani, ma già in fortissimo declino in tutti mari del mondo a causa della pesca eccessiva e illegale”. Oltre a quello dell’Eighteen, le autorità hanno scoperto altri tre casi di pesca illegale, su due navi cinesi e su un peschereccio coreano. A bordo di uno dei due pescherecci cinesi sono state trovate 70 buste contenenti carcasse di squalo. Quasi la metà di tutte le navi presenti in queste acque è di società cinesi, mentre il 40% è di società dell’Unione europea.