La Procura Generale di Catania al processo di revisione per la strage di via D'Amelio interviene e chiede scusa. «Ci sentiamo in dovere, come rappresentanti dello Stato, di chiedere scusa per le condanne ingiuste inflitte nell’ambito del processo per la strage di via D’Amelio, nonostante non siano nostre le responsabilità».
«Chiediamo scusa – hanno aggiunto in aula le due rappresentanti dell’accusa – nonostante siano stati ritenuti responsabili di associazione mafiosa, quanto meno per il carcere in più scontato».
Un'ammissione di colpa da parte delle sostitute procuratrici Sabrina Gambino e Concetta Maria Ledda pronunciata nel chiedere alla terza sezione penale della corte d’Appello di Catania l’accoglimento delle istanze di revisione, per il reato di strage e furto, presentate dagli undici innocenti, due dei quali accusati solo di avere rubato l’utilitaria trasformata in autobomba.
Gli undici sono stati tutti condannati in via definitiva per l’eccidio di via D’Amelio del 19 luglio del 1992 causato dall'esplosione di una Fiat 126 imbottita di tritolo piazzata sotto casa della madre del magistrato.
La richiesta di accoglimento di revisione è per Natale Gambino e degli eredi di Giuseppe Orofino - sono i primi, per i quali è arrivato il sì per rivedere il verdetto di condanna già divenuto definitivo - e, ancora, Gaetano Scotto, Salvatore Profeta, Cosimo Vernengo, Giuseppe La Mattina, Giuseppe Urso, Gaetano Murana, Salvatore Candura, Vincenzo Scarantino (questi ultimi due falsi pentiti che hanno depistato e recentemente condannati per calunnia), e Salvatore Tomasello.
La procura generale ha chiesto inoltre la trasmissione degli atti al giudice di esecuzione affinchè ridetermini le pene per coloro che – innocenti per strage – sono tuttavia colpevoli per mafia.
A riscrivere la storia sulla fine del Giudice Paolo Borsellino, furono Gaspare Spatuzza e Fabio Tranchina, che svelarono le ricostruzioni dei falsi pentiti che per anni avrebbero mentito sulla strage di mafia. È stato l’allora procuratore Sergio Lari a «sentire» i due nuovi collaboratori e a «scoperchiare il depistaggio». False dichiarazioni e processo per i falsi pentiti condannati di recente al processo «Borsellino quater». Tra i depistatori Francesco Andriotta e Calogero Pulci condannati dalla Corte d’Assise nissena alla pena a 10 anni ciascuno per calunnia. Per Vincenzo Scarantino è stata concessa l’attenuante dell’induzione, perché sarebbe stato pressato – secondo i giudici di Caltanissetta - a non dire il vero.
Scarantino il 27 gennaio del 1996 è stato condannato a 18 anni di carcere per la strage di via D’Amelio dalla Corte d’Assise di Caltanissetta, e non ha fatto mai più appello. Così da essere messo in ghiaccio. Una pena, che ha scontato per intero nonostante le sue dichiarazioni non vere che avrebbero offuscato per anni la verità. Ma non è stato il solo a restare dietro le sbarre per reati che non avrebbe commesso. Altri dieci coinvolti nell’inchiesta sul massacro del 19 luglio del ‘92 sono rimasti inchiodati per anni in carcere da innocenti. Almeno per strage. Per mafia, secondo i magistrati, invece sì. Questi sono stati scarcerati grazie ai collaboratori di giustizia Spatuzza e Tranchina.