16 «Tra poco non mi vedrete più; e tra un altro poco mi vedrete».
17 Allora alcuni dei suoi discepoli dissero tra di loro: «Che cos'è questo che ci dice: "Tra poco non mi vedrete più" e: "Tra un altro poco mi vedrete" e: "Perché vado al Padre"?» 18 Dicevano dunque: «Che cos'è questo "tra poco" che egli dice? Noi non sappiamo quello che egli voglia dire».
19 Gesù comprese che volevano interrogarlo, e disse loro: «Voi vi domandate l'un l'altro che cosa significano quelle mie parole: "Tra poco non mi vedrete più", e: "Tra un altro poco mi vedrete"? 20 In verità, in verità vi dico che voi piangerete e farete cordoglio, e il mondo si rallegrerà. Sarete rattristati, ma la vostra tristezza sarà cambiata in gioia. 21 La donna, quando partorisce, prova dolore, perché è venuta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell'angoscia per la gioia che sia venuta al mondo una creatura umana. 22 Così anche voi siete ora nel dolore; ma io vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi toglierà la vostra gioia. 23 In quel giorno non mi rivolgerete alcuna domanda. (Gv. 16, 16-23a)
Fratelli e sorelle,
per parlarvi delle parole del vangelo di Giovanni che abbiamo appena letto, vorrei iniziare chiedendo la vostra fraterna collaborazione, più precisamente un vostro sforzo di immaginazione... Vorrei potervi dire che è il classico “piccolo sforzo di immaginazione”, ma non sarei del tutto onesto, perché vorrei che ciascuna e ciascuno di voi tornasse per un attimo con la mente ad un periodo della propria vita passata, lontana o recente che sia: vorrei che pensaste ad un periodo nel quale - qualunque ne fosse la causa - la vostra esistenza è stata attraversata da un dolore profondo, quel tipo di dolore capace di annebbiarci la mente, provocandoci una sensazione costante di incertezza e confusione. Ora pensate se, in uno di questi periodi bui, faceste un sogno...
Come a volte succede nei sogni, improvvisamente venite a sapere qualcosa, più esattamente venite a sapere che è arrivato in città un non meglio specificato “Maestro”: ebbene costui promette addirittura di “cambiare la vostra tristezza in gioia”, una gioia che nessuno potrà mai portarci via, una gioia tale da permetterci di “non avere più alcuna domanda”... Come a volte succede nei sogni, all’improvviso vi trovate da un’altra parte: ora siete in uno spazioso locale con delle panche disposte in fila; sembrerebbe la sala d’aspetto di una stazione ferroviaria o di un aeroporto, non potete esserne certi. Come a volte succede nei sogni più inquietanti, la vostra vista è come annebbiata, non riuscite a distinguere bene i contorni dello spazio intorno a voi... Sembra che siate da soli, non c’è nessuno oltre a voi in quella sala. Le pareti sono del tutto spoglie, fatta eccezione per un orologio su di un muro, che sembra fermo, nonostante un fastidioso, incessante ticchettio vi rimbombi nella testa... In fondo alla sala, intravedete quella che sembra una minuscola porta. E’ chiusa, ma c’è un cartello affisso sopra. Recita laconico: “Tra poco tempo”... “Non posso far altro che aspettare”, pensate allora nel vostro sogno. Vi sedete quindi su una delle panche di questa sala d’aspetto, e cercate di pensare alle domande che “tra poco” farete a questo “Maestro”. Aspettate, aspettate, e, anche se siete sempre infiacchiti dal vostro dolore e dalla vostra confusione, le vostre domande prendono lentamente forma... Aspettate... Aspettate... Tic,
tac, tic tac... “Tra poco”...
«Tra poco non mi vedrete più; e tra un altro poco mi vedrete»... Così esordisce Gesù nei nostri versetti di oggi. Credo che la gran parte di voi sia d’accordo che, così su di piedi, la frase resta quantomeno “ermetica”, sembra quasi che Gesù stia facendo un gioco di prestigio... E non sembrano pensarla diversamente gli interlocutori di Gesù, gli apostoli: da come è formulata la loro obiezione possiamo capire che essi non è che abbiano fra-inteso il significato delle parole di Gesù, ma che non hanno proprio com- preso il senso di quelle parole... «Che cos'è questo "tra poco" che egli dice? Noi non sappiamo quello che egli voglia dire» si domandano, ripetendo nuovamente la frase di Gesù e confabulando tra loro smarriti e confusi, senza però trovare il coraggio di porre la domanda direttamente al loro Maestro.
Ora, se vi posso confessare un mio pensiero non troppo - per così dire - “theologically correct”, il Gesù di Giovanni alcune volte può risultare di primo acchito “antipaticuccio” e saccente. L’onniscienza di cui l’evangelista lo dota d’altronde non aiuta... Così come in altri casi, Gesù conosce in anticipo le domande che i discepoli si fanno tra loro. Ora però, andando un po’ oltre il “primo acchito” di cui sopra, proviamo anche a comprendere la “forma” entro cui questo racconto è narrato. Molti esegeti, a proposito del quarto vangelo, parlano di uno schema ricorrente detto del “malinteso giovanneo”: si tratta di un semplice espediente retorico attraverso il quale l’evangelista sottolinea, esplicita ed approfondisce alcuni aspetti che ritiene centrali; d’altronde dobbiamo anche considerare che nel suo vangelo non compaiono le parabole che troviamo nei sinottici, che hanno la stessa funzione “esplicativa”. Secondo questo schema ricorrente in Giovanni invece, Gesù prima pronuncia un’affermazione ambigua, metaforica o che comporta un doppio significato. Il o i suoi interlocutori fraintendono, mal comprendono o proprio non capiscono (come nel nostro caso). Questo “problema di comprendonio”, con relative richieste di chiarimento, offre al narratore l’opportunità di far cogliere al lettore il significato più profondo delle parole di Gesù. Questa “spiegazione” è affidata alcune volte al narratore stesso, ma, per la maggior parte delle volte è lo stesso Gesù a riprendere la parola, così come nel nostro passo di oggi, con “l’aggravante” che in questo caso più che di un malinteso si tratta di una totale incomprensione, un’incomprensione che genera immediatamente un senso di apprensione e di confusione nei discepoli, ma anche nel lettore, a cui questo senso di smarrimento è restituito con la reiterazione, la ripetizione per ben tre volte delle parole iniziali di Gesù...
Ma allora, di cosa stava davvero parlando Gesù?
Proviamo a ripartire dall’inizio, da quel “Tra poco”, che ovviamente va inteso come “tra poco tempo”, micròn in greco, una parola che anche in italiano evoca un’idea appunto di “brevità”. Gesù menziona due di questi micròn: l’interpretazione più immediata è che il primo micròn si riferisca al breve lasso di tempo che intercorre tra l’arresto di Gesù e la sua crocifissione, mentre il secondo alla risurrezione. “Non mi vedrete” e poi “mi rivedrete...” Quella di Gesù è dunque una profezia sul futuro che attende lui ed i suoi discepoli, che piangeranno e saranno in lutto per la morte del proprio Maestro, ma è anche una promessa: è la promessa della Resurrezione e di un giorno in cui tutti discepoli di Cristo (ivi inclusi i lettori del vangelo di Giovanni) dopo tanto dolore conosceranno una gioia perfetta, una gioia capace di far dimenticare tutte le sofferenze passate, come quella della madre che ha appena partorito il proprio amato figlio. In quel giorno non solo essi vedranno Gesù, ma sarà anche e soprattutto Gesù a vedere loro... Infatti, se diamo nuovamente un’occhiata al versetto 9, notiamo che adesso il soggetto del vedere è lui, Gesù... Non solo dunque “voi mi rivedrete, ma anche e soprattutto “Io vi vedrò di nuovo”. E ancora, conclude Gesù: “In quel giorno non mi rivolgerete alcuna domanda”... A cosa si sta riferendo qui Gesù? Sta parlando di solo di quelle domande di chiarimento tipiche di questi cosiddetti “malintesi giovannei”, come quelle che poco prima hanno detto tra loro gli apostoli, confusi dalle parole di Gesù?... L’evangelista non sembra riferirsi solo a quel tipo di domande, dato che usa un verbo particolare, un verbo che in italiano la Nuova Riveduta traduce qui come “rivolgere domande”, ma che solo un capitolo dopo, al 17esimo, traduce invece con “pregare”. In quel caso è lo stesso Gesù che - anche qui - è soggetto del pregare; poco prima di essere arrestato, Gesù sta pregando, e sta pregando proprio per i suoi discepoli... Dunque, potremmo concludere, in “quel giorno”, nel giorno del Regno di Dio, tutti i discepoli di Cristo potranno addirittura “permettersi il lusso” di non pregare più il loro (il nostro) Signore Gesù? Sì, semplicemente perché non avremo più niente da chiedergli, perché in “quel giorno” saremo “visti” da Lui, che intercede per noi presso il Padre... Ma fino ad allora?...
Un teologo del ‘900 diceva che il tempo della chiesa, e quindi dei discepoli di Cristo, è “tra il già e il non ancora”, tra il “già” della croce e resurrezione di Cristo e il “non ancora” dell’avvento del Regno di Dio. Ma dire “tra il già e il non ancora” equivale a dire un lasso di tempo. E questo lasso tempo altro non è che il micròn annunciatoci oggi dal vangelo di Giovanni. “Tra poco” ci dice Gesù, perché, come preferiscono invece esprimersi i vangeli sinottici, “Il Regno di Dio è vicino”. Ripeto però: ma fino ad allora?...
Per concludere, proviamo a ritornare con la nostra immaginazione a quella sorta di “incubo kafkiano” che vi avevo suggerito all’inizio: siamo di nuovo in quella sorta di sala d’attesa. Soli, preda della nostra tristezza e confusione che rimuginiamo sulle nostre domande. Se queste domande però cominciassero pian piano a diventare una preghiera? Se, in questo sogno inquietante e confuso, nel quale, come vi dicevo, la nostra vista è come annebbiata... Se, come succede a volte nei sogni, all’improvviso tutto si facesse più chiaro e scoprissimo di non essere da soli in questa sala d’attesa? Se scoprissimo che accanto a noi c’è un amico e un’amica, un fratello e una sorella? Se scoprissimo che anche loro, pur con la loro tristezza e con la loro confusione stanno pregando come te? E se questi fratelli e queste sorelle cominciassero a pregare con te e per te, e poi pregassi anche tu per loro? Se scoprissimo all’improvviso che quella piccola porta su cui compariva la scritta “tra poco” è in realtà una Bibbia, la parola di Dio che annuncia l’evangelo di Cristo che, come si esprime sempre Giovanni, è “la porta”? Se all’improvviso ci rendessimo conto che la sala d’aspetto dove ci troviamo altro non è che la nostra chiesa in un momento di culto e di preghiera al Signore, proprio come quello che stiamo vivendo noi qui adesso?... Eccoci dunque, tutti noi discepoli e discepole, fratelli e sorelle in Cristo, in questo breve -ma anche un po’ interminabile- lasso di tempo, in questo micròn che separa “il già e il non ancora”. Proviamo però a ricordarci l’un l’atro che, così come i discepoli raccontati da Giovanni, non siamo mai soli in questa “sala d’aspetto” che è ogni chiesa di Cristo. E se è vero che non tutte le nostre tristezze sono ancora state cambiate, trasformate in una gioia “granitica”, inattaccabile, è altrettanto vero che la fede in Cristo può già “rallegrare i nostri cuori”, soprattutto quando la parola d’amore del Suo evangelo e le nostre preghiere a Lui sono condivise con i nostri fratelli e le nostre sorelle. Amen
Pier Giovanni Vivarelli - studente in teologia - culto del 2 luglio 2017