La Procura generale della Corte d’appello di Palermo ha chiesto ai giudici della quarta sezione penale la conferma delle condanne inflitte in primo grado dal Tribunale di Marsala a tre dei quattro arrestati nell’operazione antimafia dei carabinieri “The Witness” (9 marzo 2015).
Imputati sono l’anziano boss marsalese Antonino Bonafede, 81 anni, pastore e vecchio “uomo d’onore”, che secondo i magistrati della Dda aveva “ereditato” il bastone del comando in seno alla famiglia mafiosa dal figlio Natale, in carcere dal gennaio 2003 con una condanna definitiva all’ergastolo, Vincenzo Giappone, di 55, anch’egli pastore, e Martino Pipitone, 67 anni, ex impiegato di banca in pensione, che in passato ha già scontato una condanna a 6 anni per mafia.
Quest’ultimo, difeso dagli avvocati Stefano Pellegrino e Vito Cimiotta, l’8 giugno 2016, è stato, però, assolto dall’accusa di mafiosa, seppur condannato a due anni di reclusione per intestazione fittizia di una società ad altra persona “per evitare eventuale confisca da parte dello Stato”. La pena più severa, 16 anni di carcere, il Tribunale di Marsala l’ha inflitta, invece, ad Antonino Bonafede, pur escludendone il ruolo di vertice in seno alla locale famiglia mafiosa. La pena per Bonafede è stata “complessiva”. Include, infatti, anche i 6 anni già scontati per una precedente condanna per mafia. Di fatto, quindi, gli sono stati inflitti altri 10 anni (per il periodo dal 2006 in poi). Il pm Carlo Marzella ne aveva chiesti 12. A Bonafede senior, intanto, nel gennaio 2015, sono stati confiscati beni per oltre 4 milioni di euro. A 12 anni di carcere, sempre per mafia, è stato invece condannato Vincenzo Giappone. Per lui, in primo grado, una pena superiore a quella invocata dal pubblico ministero (10 anni). A difendere Giappone sono stati gli avvocati Stefano Venuti e Federico Sala. Per Bonafede e Giappone, il Tribunale marsalese decretò anche tre anni di libertà vigilata dopo l’uscita dal carcere. I due imputati sono stati, inoltre, condannati a risarcire con 5 mila euro l’associazione antiracket e antiusura “Paolo Borsellino”, costituitasi parte civile con l’avvocato Peppe Gandolfo. Giappone sarebbe stato il cassiere della “famiglia” e il “primo collaboratore” di Bonafede senior, che per la Dda avrebbe cercato di riorganizzare la locale cellula di Cosa Nostra.
ap