Il salemitano Paolo Genco, presidente dell’ente di formazione professionale Anfe arrestato lo scorso gennaio per truffa aggravata è stato rinviato a giudizio dal giudice per le indagini preliminari di Trapani, Antonio Cavasino. Al processo che inizierà il 6 dicembre si sono costituite 80 parti civili, lavoratori che si ritengono danneggiati dalla gestione dell'Anfe che, secondo l’accusa, sarebbe stata improntata sulla frode. Oltre a Genco il rinvio a giudizio è stato disposto per Paola Tiziana Monachella, responsabile dell'Anfe di Castelvetrano, Aloisia Miceli, direttore amministrativo dell'Ente, e Rosario Di Francesco, direttore della Logistica e delle Attrezzature. Per un altro imputato, l'imprenditore Baldassare Di Giovanni, invece, è stato disposto il giudizio immediato.
Genco, da Salemi, era di casa all'assessorato regionale per la Formazione, ed era uno dei leader della formazione in Sicilia, a capo di un ente che contava circa 500 dipendenti in tutta l'Isola, e che gestiva corsi di formazione per 20 milioni di euro l'anno. Con il ritiro dell’accreditamento da parte della Regione sono stati licenziati tutti i dipendenti. In Sicilia legati alla formazione ci sono stati altri scandali che hanno scoperchiato un sistema di intrecci e truffe come il caso Ciapi con Giacchetto e l’altro che ha coinvolto Francantonio Genovese. Genco fino al giorno del suo arresto era rimasto indenne al passaggio di quelle tempesta.
Per la polizia tributaria della guardia di Finanza, che ha eseguito l’indagine «Dirty training», Genco avrebbe lucrato sugli ingenti finanziamenti destinati alla Formazione professionale, attraverso tutta una serie di fatture false emesse fra il 2010 e il 2013. Fatture che avrebbero documentato spese in realtà mai sostenute. Le fatture sarebbero state emesse da Di Giovanni per la «General Informatic Center», una ditta di materiale informatico.
La truffa - Secondo l'accusa l'Anfe pagava con bonifici la fornitura, a sua volta le società di Di Giovanni pagavano in contanti i fornitori inesistenti, e i soldi finivano nuovamente nella disponibilità, stavolta personale di Genco. I soldi venivano spesi per acquistare beni immobili da parte della compagna di Genco, Tiziana Paola Monachella, responsabile Anfe di Castelvetrano (mentre la figlia di Genco, Maria, era responsabile provinciale...).
Un esempio pratico di come era stata messa in piedi la truffa è quello dei pc. I finanzieri hanno cercato il “magazzino” da dove nel 2012 all’Anfe sarebbero stati forniti 90 computer e 206 pc nel 2013: i militari hanno trovato bolle di trasporto riferite addirittura a automezzi che dalla Puglia, dove risultavano collocati, non si erano mai mossi, e fatture di negozi di giocattoli e che di informatica non si occupavano affatto.
In pratica, Paolo Genco, in accordo con Di Giovanni titolare della “General Informatic Center” e della “ Coreplast”, che figuravano come fornitori dell’A.N.F.E., rendicontavano all’ente erogatore costi per beni e servizi mai effettivamente forniti. I soldi, poi, ritornavano nella disponibilità di Genco che li reinvestiva nell'acquisto di numerosi immobili (molti dei quali oggi sottoposti a sequestro), formalmente intestati in parte ad una società immobiliare, denominata “La Fortezza” (amministrata dal Di Giovanni), e in parte ad una dipendente dell’A.N.F.E., anch’essa coinvolta nella frode. Alcuni di questi immobili venivano affittati, inoltre, allo stesso A.N.F.E. con duplice illecito guadagno per i due. Le fatture sarebbero state emesse dalla «General Informatic Center», la ditta di materiale informatico, che, secondo gli inquirenti figurava scelta dopo un'indagine di mercato anch’essa falsificata.