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20/03/2018 07:05:00

Marsala, processo a panettiere Giuseppe Bonafede. Tre testi dalla memoria corta...

 Memoria corta, rispetto a quanto dichiarato in fase d’indagine, hanno mostrato, in Tribunale, gli ultimi tre testimoni ascoltati nel processo che davanti al giudice monocratico Iole Moricca vede imputato il 58enne Giuseppe Bonafede, ex presidente dell’Associazione panificatori marsalesi, per estorsione in danno dei suoi dipendenti.

I tre testi, rispondendo al pm Antonina Ferro, non ricordavano più alcune delle dichiarazioni rese nel gennaio 2016 alla sezione di pg della Guardia di finanza che conduceva l’inchiesta. E per questo motivo, per due di loro, il pm ha detto che farà le sue “valutazioni”. Qualcuno, insomma, rischia di essere accusato di falsa testimonianza. Anche perché i vuoti di memoria hanno riguardato proprio le dichiarazioni più compromettenti per il Bonafede. Tanto che il pm ha chiesto se il loro cambio di rotta fosse dovuto alla presenza in aula dell’imputato. La risposta, naturalmente, è stata “no”.

Due di loro, Marco Casano e Giuseppe Polessi, erano dipendenti di Bonafede. Lavoravano come panificatori. Casano ha ammesso (ma non poteva fare diversamente perché fu trovato sul posto dalla Guardia di finanza) che nel gennaio 2016 lavorava ancora per Bonafede, nonostante formalmente licenziato il 23 dicembre 2015. Lavorava, dunque, “in nero”. Giustificandolo con il fatto di dover mantenere moglie e figlia. Lo stipendio percepito era di 950 euro al mese. Alla Finanza, due anni fa, dichiarò di essere “cosciente” di percepire una “retribuzione inferiore a quella spettante” e che gli venivano versati “minori contributi previdenziali”. Condizioni “vessatorie” che accettava pur di mantenere la famiglia. Ieri, però, sui contributi ha detto di non essersi mai interessato perché si fidava. E anche Polessi ha detto di non saper nulla di contributi. Alla Finanza aveva dichiarato: “Ho accettato tali condizioni perché ho bisogno di lavorare. Se mi lamento con Bonafede, lui mi licenzia in quanto vi è una moltitudine di disoccupati che cerca lavoro anche con condizioni più svantaggiose”.

Il terzo teste con vuoti di memoria è stato, infine, il fidanzato di una cugina di un’addetta alle vendite (A.M.B.) che secondo l’accusa fu licenziata perché chiedeva di essere “messa in regola” e che Bonafede accusò, secondo gli inquirenti ingiustamente, di furto di qualche pezzo di pane.

In una precedente udienza, altri ex dipendenti hanno affermato che a chi si lamentava rispondeva: “Se non ti sta bene, te ne vai. Le condizioni sono queste”. A far scattare l’indagine delle Fiamme Gialle della Procura è stata una ragazza che ha avuto il coraggio di denunciare. Ad assistere la giovane, A. M. B., che all’inizio del 2016, dopo circa sei mesi di lavoro “in nero” e con la continua promessa di regolarizzazione, è stata accusata da Bonafede di aver rubato del pane e per questo motivo licenziata in tronco, è l’avvocato Roberta Tranchida.

Bonafede è accusato, in particolare, di avere avuto dipendenti non in regola con il contratto di lavoro, retribuiti in “in nero” e sottopagati, condizioni che sarebbero state imposte con la minaccia, esplicita o larvata, di licenziamento.

Secondo quanto emerso dall’inchiesta delle Fiamme Gialle della Procura, il Bonafede (noto anche come ex presidente della società di calcio del Marsala), nella sua qualità di datore di lavoro, socio accomandatario della “Non solo pane s.a.s.”, non avrebbe erogato ai lavoratori né stipendi adeguati, né i relativi contributi previdenziali e assistenziali. Il “risparmio”, per Bonafede, secondo quanto calcolato dal consulente della Procura, il commercialista Gaetano Marano, sarebbe stato di oltre 330 mila euro. A difendere l’imprenditore sono gli avvocati Stefano Venuti e Federico Sala. Imputato, per favoreggiamento, anche uno dei dipendenti “in nero”: il 34enne Giovanni Castagna. E’ accusato di aver rilasciato false dichiarazioni agli inquirenti. A difenderlo è l’avvocato Duilio Piccione. A rappresentare le parti civili (tra queste, anche l’associazione Codici, rappresentata dall’avvocato Giovanni Crimi), oltre all’avvocato Roberta Tranchida, anche Vincenzo Sammartano e Sebastiano Genna.