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30/03/2018 04:00:00

Il presidente della Repubblica uscì in Vespa dal Quirinale

di Leonardo Agate - Avvenne che nella terza Repubblica, quella cominciata con l’esito delle votazioni politiche del 4 marzo 2018, un gruppo sempre più consistente di persone aspettava la mattina l’arrivo a piedi del presidente della Camera, Roberto Fico. Scendeva dall’autobus della Municipalizzata alla fermata più prossima e andava al lavoro, come un comune impiegato, mentre era la terza carica dello Stato secondo la Costituzione.

Quando, appena eletto, l’indomani mattina continuò la sua abitudine di prendere l’autobus come faceva per tutte le sue incombenze cittadine prima di rivestire l’alta carica, la notizia fece colpo. Mai si era visto un presidente della Camera arrivare in autobus, affollato di gente di tutte le estrazioni, uomini e donne anche di colore. La cosa fece buona impressione, ma recò un certo sconcerto negli ambienti ufficiali. Di Palazzo del potere in Palazzo del potere, ci fu come un segnale che, partito da Montecitorio, arrivò a Palazzo Madama e anche al Palazzo del Quirinale.

Le persone che la mattina andavano ad aspettare Fico all’arrivo dell’autobus divennero di settimana in settimana più numerose. Qualcuno una mattina applaudì, e qualche altro ne seguì l’esempio. La Questura rilevò nei sui rapporti riservati che coloro che applaudivano ogni mattina diventavano costantemente più numerosi. L’assembramento in attesa del presidente, aumentando di consistenza, cominciò dopo un paio di mesi a creare problemi di traffico pedonale e automobilistico. Ma non fu questo il vero problema da affrontare.

Si diffuse negli ambienti di Palazzo Madama e anche al Quirinale una certa insofferenza per quella nuova e inaspettata prassi del presidente della Camera, perché la gente gradiva sempre più il comportamento di quell’uomo, a scapito della popolarità, che calava, della presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, e dello stesso presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Quest’ultimo rappresenta, secondo la Costituzione, la nazione nel suo intero; se la sua popolarità cala, ne risente l’intera tenuta dell’assetto repubblicano. In minor misura la stessa cosa avviene per la seconda carica dello Stato, quella della presidente del Senato.

Cominciarono a intrecciarsi le evidenze delle preferenze del popolo con le argomentazioni giuridiche, in apposite riunioni di esperti e consiglieri. Qualcuno pensò che, per ritornare alla precedente correttezza istituzionale, non si dovesse consentire al presidente della Camera di comportarsi come un comune lavoratore, e occorresse quindi stabilirlo con una norma obbligatoria, che doveva essere una legge ordinaria. Il discorso aveva una sua logica, ma si scontrava con i numeri degli eletti al Parlamento, dove il primo partito era quello cui il presidente apparteneva, il M5S. La via legislativa non era, quindi, percorribile. Non restava che, per arginare la crescente popolarità di Roberto Fico e del suo partito, adottare nuovi stili di vita da parte della presidente del Senato e del presidente della Repubblica. Per quanto riguardava il Senato, la soluzione fu trovata facilmente, e fu anche gradita alla presidente. Poiché era una signora settantenne, si pensò che, se fosse arrivata al Senato con una utilitaria invece che con la macchina di rappresentanza, la cosa sarebbe stata gradita agli elettori. E difatti, una mattina, e poi ogni successiva mattina lavorativa, si vide arrivare davanti a Palazzo Madama una Fiat Panda nera, dalla quale scendeva la presidente, per avviarsi al portone del Palazzo. La gente, avendo capito che la signora non badava alle pompe, ma si serviva di una macchinetta comune, apprezzò, e pure davanti al Palazzo Madama cominciò a raccogliersi la mattina un gruppo di persone, non consistente come quello che aspettava ogni mattina Fico, e nemmeno ugualmente entusiasta. Qualcuno, però, batteva pure le mani. Il minore entusiasmo che la Questura rilevava davanti a Palazzo Madama, non dipendeva dalla rappresentante dell’istituzione, ma dall’opinione corrente che il Senato sia una Camera inutile e da abolire.

Per la più alta carica dello Stato, quella del presidente della Repubblica, la soluzione del problema fu più ardua, ma alla fine ci si arrivò, grazie alle fervide menti della compagine degli esperti del Quirinale. Per dare un’impennata alla calante popolarità del presidente, si pensò a una novità assoluta che avrebbe lasciato a bocca aperta la gente; come in effetti avvenne, e con positive ripercussioni sul prestigio dell’istituzione repubblicana.

Nei viali dei giardini del Quirinale, fu insegnato al presidente a guidare una Vespa; con questa, dopo mesi di scuola – guida e alcune, per fortuna non gravi, cadute, quando gli istruttori ritennero che il presidente potesse guidare il mezzo per le pubbliche vie, fu data la comunicazione ufficiale del calendario delle uscite, con i giorni e le ore del giro in città in Vespa. La televisione di Stato ne diede ampio risalto, nei telegiornali e in alcuni speciali.

Così, il presidente un paio di volte al mese, dalla primavera all’autunno, poté essere visto in Vespa per le vie della Città Eterna, che prudentemente venivano sgomberate da un gruppo di carabinieri motorizzati; questo sia per la sicurezza del presidente, sia per quella dei passanti e degli automobilisti. La durata dell’uscita presidenziale in Vespa era di 40 minuti, non potendosi consentire di più all’anziano personaggio, che in tal modo risalì nelle quotazioni di gradimento degli intervistati. In effetti era un bel vedere Sergio Mattarella in Vespa, come un qualunque cittadino ci può andare per sport o per lavoro, con la giacca a vento azzurra e lo stemma tricolore sul petto, e lo speciale casco presidenziale con un pennacchio di crine di cavallo.

La primigenia idea di Fico portò bene a tutta la Repubblica.