Tra una settimana circa, i lavori di bonifica del porto di Selinunte termineranno. E’ stata dura, alla fine è crollata pure la banchina nord. Ma poteva andare peggio: se il titolare del distributore di carburante, qualche ora prima, non si fosse precipitato a smontare tutto, tra fili elettrici, acqua e benzina, ci sarebbe potuto scappare pure il morto.
Alla fine però le alghe sono state tirate fuori dall’acqua ed ammassate sulla spiaggia accanto. “L’interessamento” di Toni Scilla (ne avevamo parlato qui) ha dato i suoi frutti. Però la stagione estiva si avvicina ed è ovvio che bisogna toglierle anche da lì.
Ma per portarle dove?
L’ingegnere del Genio Civile, Giuseppe Pirrrello, aveva pensato di portarle nella spiaggetta del depuratore dato che, “dopo un attento esame tossicologico”, erano risultate non inquinanti. Non è però escluso che alla fine possano essere trasferite in una zona periferica della vicina Castelvetrano: via Antonio Manganelli, attualmente usata come immondezzaio dai castelvetranesi duri e puri dell’indifferenziata, ma in passato già oggetto di deposito delle alghe del porto. Deposito temporaneo, ovviamente, per poi essere riportate in inverno di nuovo in spiaggia.
Un ritorno mai avvenuto in nessuna delle due bonifiche del porto fatte durante la precedente amministrazione del sindaco Felice Errante. Oggi infatti la posidonia ha formato una sorta di collinetta, dove sono cresciuti erbacce ed arbusti.
Il “trucco” funziona così bene, che non può non essere preso in considerazione anche stavolta.
Le tappe sono sempre le stesse.
Estrazione delle prime alghe dal porto (quelle più superficiali) e deposito nella spiaggetta attigua; prelievo di un campione di posidonia per l’esame tossicologico, che certificherà che l’alga non è inquinante e quindi potrà essere restituita al mare.
Completamento della bonifica con l’estrazione della posidonia che si trova un po’ più in profondità (melma), che però non sarà oggetto di alcun esame tossicologico. Ne basta uno.
Ed infine il trasferimento in via Manganelli che, da temporaneo diventa definitivo, per tutta una serie di motivi con un riscontro documentale inoppugnabile. Anche perché sarebbe difficile spiegare ai pescatori (e non solo a loro) che le masse di cui si sono ormai liberati, debbano tornare in spiaggia per evitare l’erosione delle coste. Masse che, con la solita alternanza di scirocco e libeccio, si infilerebbero di nuovo dentro il porto.
Si dirà, ma a pochi metri dal porto ci sono le vasche di accumulo dei reflui fognari. Dove va a finire il cosiddetto sovrappieno quando, soprattutto d’estate, le elettropompe non ce la fanno a mandare tutto al depuratore? Per rispondere a questa domanda, l’acqua del porto ogni tanto si colora di verde, il tipico colore causato dalla cosiddetta eutrofizzazione. In altri termini, si inquina pesantemente. Un fenomeno che va avanti da anni e che produce un “effetto Costa Smeralda” molto apprezzato dai turisti.
Ma questi sono effetti indiretti, valori chimici da valutare… Insomma roba da ambientalisti, comitati e movimenti politici che però non hanno mai dato grossi problemi. Al punto da “non accorgersi” che tra quei cumuli, nelle ultime bonifiche, c’erano anche grosse funi, bottiglie di vetro, flaconi di plastica, copertoni ed altro. E va beh, troppo grandi per finire nei barattoli per il prelievo tossicologico. E allora, alla fine, nessuno ha il coraggio di riportare tutto in spiaggia per restituirlo al mare. Sarebbe un affronto. Che però viene rivolto alla terraferma, nella convinzione che la cosa possa essere meno grave.
Certo, non è un caso che il tema dell’ambiente sia sparito dai programmi elettorali dei partiti. La cosa più triste è che non entusiasmi più nemmeno i nuovi movimenti e le associazioni locali. E se gli escamotage per non pagare i costi di smaltimento diventano istituzionali, oltre che doverosi perché apparentemente a difesa delle tasche dei cittadini, tutto diventa più difficile.
Egidio Morici