Siamo stati tre giorni a Pantelleria, alla scoperta dell’agricoltura eroica, delle sfide che ogni giorno i produttori di vino devono affrontare. Quelli che hanno portato una pratica millenaria a diventare Patrimonio Immateriale dell’Umanità Unesco. Abbiamo incontrato alcuni dei tanti produttori, abbiamo ascoltato le loro storie, quello che fanno ogni giorno per creare prodotti unici.
L’uomo, e la natura, qui a Pantelleria, trova sempre la soluzione per sopravvivere. Per sopravvivere ai venti forti che soffiano costantemente travolgendo quest’isola nel cuore del Mediterraneo. Al caldo e alla siccità che rendono preziosa ogni goccia d’acqua che il cielo dona a questa terra. Da millenni Pantelleria è un’isola eroica. Come la sua agricoltura e il sistema ad alberello premiato con il riconoscimento di Patrimonio Immateriale dell’Umanità Unesco. Una pratica agricola per i vitigni, e quella varietà, lo Zibibbo, che resiste ed è forza di un’isola che ha nella terra, più che nel mare, la propria fonte di vita.
Basta percorrere in tutti i suoi 52 chilometri la strada perimetrale per accorgersi che, a differenza di altre, Pantelleria non è un’isola di pescatori, non è isola che guarda al mare ma alla terra, è luogo di agricoltori. Un popolo che nei secoli ha saputo trovare rimedio alle avversità ambientali. La morfologia montuosa, vulcanica, di Pantelleria ha portato alla coltivazione per terrazze. L’isola è esposta a forti venti, a cui si è trovato rimedio. Come con i giardini panteschi, dove far crescere arance e limoni, riparati da una costruzione in pietra circolare. I vitigni poi non si sviluppano in filari, ma in ampiezza.
E' il famoso alberello, con alla base una piccola conca che non solo ripara dal vento, ma serve anche a raccogliere l’acqua. Già, l’acqua. Qui non ci sono sorgenti, e i dissalatori, oltre ad essere di epoca moderna, non generano un’acqua adatta per la coltivazione. Qui si aspetta la pioggia per raccogliere l’acqua in cisterna. I dammusi, tipica costruzione dell’isola, con quel tetto arrotondato per far depositare l’acqua ai lati e poi essere canalizzata in cisterne. Pioggia e rugiada, che si deposita ogni notte grazie alle correnti che attraversano il Mediterraneo e si scontrano con la terra dell’isola.
In tutto questo ci sono gli uomini che producono vino.
“Qui anche la gente sa di Zibibbo”, dice Salvatore Murana, produttore di vino da sei generazioni. Lo incontriamo al suo piccolo ristorante affacciato sullo scalo di Gadir
A pochi passi c’è la manifestazione di qualche residua attività vulcanica, quelle vasche termali naturali dirimpetto al mare. Ha le mani di chi ha lavorato la propria terra per tutta la vita. Una terra che ama e che lo porta ad essere tra i produttori di vino più longevi dell’Isola. Murana racconta la sua terra con le parole di un innamorato. Questa terra, quest’isola che non vede acqua per mesi talvolta. E solo chi ci vive sa quando arriva e come arriva. Sa che questi 82 chilometri quadrati sono tutto. E non bisogna stravolgerli. “Quest’isola è così meravigliosa che non serve la mano dell’uomo, garantisce il padreterno”, è la sintesi che fa Murana.
Giulia Pazienza è pescarese. Il suo piccolo paradiso è incastrato in una vallata, Coste di Ghirlanda. Una parte dell’isola diversa, dove per arrivare percorri strade su cui si affacciano dammusi secolari. Il suo vino viene prodotto dall’uva che cresce nel vigneto accanto al dammuso in cui fa gustare le pietanze del luogo. Racconta gli aspetti paradossali del fare agricoltura a Pantelleria. Come quando a Coste di Ghirlanda è scoppiato il problema dei conigli, erano parecchi e rovinavano le viti. Nessuno la aiutò dalle istituzioni. La risposta che le diedero fu “noi a Trapani non abbiamo conigli, li porti qui”.
Ha mollato tutto da Varese per tornare a Pantelleria, dove ha vissuto solo i primi suoi due anni di vita, Francesco Rizzo. Ha fondato nel 2010 Vinisola, una piccola cantina con un grande vino. L’architetto del vino, a Vinisola, è l’enologo Antonio D’Aietti, con 38 vendemmie all’attivo. I due sperimentano, usano lo zibibbo per inventare vini nuovi ma con il contatto con la terra che senti al sapore. Una loro invenzione è il Vota e Firria, creato dall’unione di Zibibbo e Perricone.
E’ un laboratorio del vino, la piccola tenuta di Fabrizio Basile, in contrada Bukkuram. Mostra tutto il processo della vinificazione fatto senza troppa tecnologia. Persino l’arare il terreno viene fatto a trazione animale, come una volta. La sua cantina è piccola e piena di arnesi, entri e vedi gli strumenti del mestiere. Il vero problema per Basile, oggi a Pantelleria, è l’abbandono della vigna da parte di molti produttori.
Loro, e altri produttori del calibro di Pellegrino, Donnafugata, De Bartoli, si sono uniti nel consorzio Doc di Pantelleria da qualche anno, per tenere insieme la filiera, per fare sinergia e rendere questa terra, questo prodotto ancora più unico. Ma ne parleremo domani.