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26/09/2018 06:00:00

Mazara, processo a Burzotta. "Così era socio occulto in quella società..."

Il colonnello della Guardia di finanza Rocco Lo Pane, capo della Dia di Trapani, è stato ascoltato, in Tribunale, a Marsala, come principale teste d’accusa nel processo “Burzotta Andrea + 9”.

L’alto ufficiale delle Fiamme Gialle ha parlato delle intercettazioni telefoniche, dei movimenti bancari (incasso assegni) e delle deleghe ad operare su conti correnti che dimostrerebbero che il 68enne imprenditore mazarese Giuseppe Burzotta (che pur non avendo condanne per mafia, per la Dia “rientra tra i soggetti indiziati di 'appartenenza' ad associazione di tipo mafioso”, fornendo ad alcuni suoi esponenti “supporto economico e finanziario”) sarebbe stato il “socio occulto” di un’impresa edile e di movimento terra intestata al 35enne Vincenzo Castelli.

Nel processo, la principale accusa è intestazione fittizia di beni, in alcuni casi con l’aggravante di aver favorito Cosa Nostra. Alla sbarra, oltre a “Pino” Burzotta, ci sono anche il figlio Andrea Burzotta, 45 anni, consigliere comunale a Mazara, Calogero Cangelosi, di 72 anni, nativo di Poggioreale, il figlio Michelangelo, di 29, Gaspare Castelli, di 64, e figli Francesco, di 28, Vincenzo, di 35, e Paolo, di 40, residente ad Angera (Va), Vito Gancitano, di 73, e Vincenzo Sinacori, di 62. Quest’ultimo a dover rispondere di usura.

Tra gli avvocati difensori, Leo Genna, Walter Marino, Michele Polizzi, Valentina Burzotta, Giuseppe Ferro di Castelvetrano e Francesco Paolo Maurigi.

Rispondendo alle domande del pm della Dda Giacomo Brandini, il colonnello Lo Pane ha illustrato l’attività d’indagine condotta, dichiarando: “Noi riteniamo che l’impresa Castelli sia stata partecipata in maniera occulta da Giuseppe Burzotta. In alcune intercettazioni, infatti, Burzotta parla di lavori che l’impresa Castelli eseguiva a Marettimo, ne sollecitava conteggi e pagamento e invitava il padre di Vincenzo Castelli a far emettere fattura in acconto per 30 mila euro. Ha, inoltre, incassato assegni a lui intestati e aveva delega ad operare su conto corrente della ditta. Abbiamo anche documentato assegni portati all’incasso su conto intestato ad Andrea Burzotta. In una telefonata, poi, usava il termine socio”. Un “dettaglio”, quest’ultimo, che l’avvocato Genna ha cercato di confutare, anche se l’ufficiale delle Fiamme Gialle ha ribadito che in una conversazione ciò era molto chiaro. Tra le varie contestazioni mosse dalla Dda, l’atto con cui, il 6 giugno 2011, presso il notaio Sergio Bandini, Andrea Burzotta e Michelangelo Cangelosi costituirono la società “B e C Costruzioni srl”, cedendone “occultamente”, secondo l’accusa, “il potere di gestione e la disponibilità dei beni” a Burzotta senior, che nell’acquisizione del “compendio aziendale”, nonché nella gestione operativa della società avrebbe investito “risorse finanziarie, profitto di attività illecite”. Mentre Michelangelo Cangelosi ne avrebbe mantenuto il “controllo occulto”. Calogero Cangelosi, invece, avrebbe coadiuvato Giuseppe Burzotta nella gestione della società “pur senza rivestire ruoli formali”. Tutto ciò, secondo l’accusa, “anche al fine di favorire l’organizzazione criminale di tipo mafioso denominata Cosa nostra”. Un caso di intestazione fittizia senza aggravante mafiosa è, invece, quello relativo all’acquisto, nel settembre 2012, l’acquisto, da parte di Paolo Castelli, ad una vendita giudiziaria del Tribunale di Marsala, di un appartamento di 160 metri quadrati a Mazara per 38.600 euro. Ma quel denaro sarebbe stato sborsato da “Pino” Burzotta “al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali”. Insomma, per evitarne il sequestro da parte dello Stato. Burzotta senior, ex consigliere comunale socialista, è stato, infatti, in passato, un “sorvegliato speciale”. Anche se non è stato mai condannato per mafia. L’aggravante di aver favorito la mafia gli viene, però, contestata in questo procedimento nei casi in cui avrebbe prestato denaro a “interessi usurari” (a Luciano Asaro e Antonietta Gianformaggio). Di usura, ma senza aggravante mafiosa, deve rispondere anche Vincenzo Sinacori. Nel luglio 2016, la Dia sequestrò beni per oltre 4 milioni di euro “riconducibili” a Giuseppe Burzotta e ai componenti del suo nucleo familiare, tra cui anche il figlio Andrea, che è stato anche consigliere provinciale di Forza Italia.