La Corte d’assise d’appello di Palermo (presidente Fontana) ha confermato la sentenza con cui, l’11 luglio 2017, la Corte d’assise di Trapani condannò Salvatore Agatone, 52 anni, di Campobello di Mazara, a 14 anni e mezzo di carcere per omicidio.
Agatone era alla guida dell’auto (Alfa 145) che la sera del 9 luglio 2015, a Mazara, tamponò intenzionalmente e violentemente una Fiat Panda sulla quale viaggiavano alcune persone con cui aveva litigato.
A causa delle ferite riportate nel tamponamento, alcune ore dopo, morì Giovanbattista Lungaro, di 82 anni, di Mazara del Vallo. In primo grado, per Agatone, il pm Antonella Trainito, sostituto procuratore di Marsala, aveva chiesto 16 anni.
A quattro anni, invece, è stato condannato, per lesioni, il 42enne Andrea Managò, che era in auto con Agatone e che dopo il tamponamento accoltellò a una gamba e alle mani il 36enne Umberto La Barbera, che era alla guida della Panda.
Il tamponamento (Lungaro morì in ospedale quattro ore dopo) e l’accoltellamento di La Barbera ebbe come teatro l’angolo tra via Potenza e via Livorno, a Mazara, e dalla ricostruzione operata dai carabinieri emerse che quello che a prima vista poteva sembrare un normale, anche se grave, incidente stradale, sarebbe stato, invece, un impatto volutamente provocato da chi era alla guida dell’auto (Alfa 145) che stava dietro. E che poco prima i due gruppi avevano avuto una lite. Nell’auto inseguita, raggiunta e speronata c’erano tre uomini adulti e una bambina. Lo scorso luglio, il Pg della Corte d’appello di Palermo aveva invocato severe condanne per entrambi gli imputati: sedici anni e 2 mesi di carcere per Agatone e sedici anni per Managò. I giudici palermitani, però, hanno deciso di confermare la sentenza di primo grado. A difendere Agatone è stato l’avvocato Melchiorre Palermo, che dopo la sentenza di secondo grado ha dichiarato: “Siamo dispiaciuti. Ci aspettavamo un altro esito. Comunque, attendiamo le motivazioni per proporre sicuramente ricorso in Cassazione”. Legali di Managò, invece, sono gli avvocati Stefano Pellegrino e Francesca Favata. Attualmente ai domiciliari, l’amico di Agatone ha già scontato oltre la metà della pena e per questo i suoi difensori, soddisfatti per l’accoglimento, anche in appello, delle loro tesi, hanno chiesto il suo ritorno in libertà. Alla base della vicenda, pare, una storia di sesso e di “corna”, sfociata, secondo gli inquirenti, in un omicidio “mascherato” da incidente stradale. Anche se a morire non fu l’obiettivo designato.
ap