Negli anni novanta a Castelvetrano, si lavorava “coi fili” di Carmelo Patti, ai cui eredi qualche giorno fa, sono stati confiscati beni per più di un miliardo e mezzo di euro, ritenuti funzionali alla cosca dei Messina Denaro.
Nei garage, nelle cucine, nei corridoi degli appartamenti. Ogni luogo poteva diventare una piccola officina dove assemblare i cavi elettrici per le automobili. In tanti partecipavano al miracolo economico di Patti; il foglio con lo schema di montaggio appeso alla parete e piccole catene fatte di fratelli, figli, cognati, si davano da fare per la produzione. Tutti in nero, in una colossale frode fiscale che, sviluppatasi in tutta la valle del Belice, aveva il suo centro a Castelvetrano.
Era la Cable Sud del “Gruppo Imprenditoriale Patti”, la cui sede legale era proprio a Castelvetrano.
Secondo i giudici della sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Trapani, la struttura del “cablaggio” dipendeva da un sistema piramidale.
Al vertice c’era la “Cablelettra Spa”, società di Patti operante in regime fiscale ordinario che aveva avuto in appalto dalla FIAT il “cablaggio di cavi elettrici” per autovetture. Questa subappaltava alla “Cable Sud Srl” (sempre del gruppo Patti), che invece operava in regime fiscale di esenzione decennale IRPEG ed ILOR e in regime fiscale ordinario I.V.A. Il cablaggio veniva quindi subappaltato alla ditta “Urbano Giuseppe”, il cui regime fiscale era agevolato in base alla “legge Tremonti”. Questa ditta, cessata dopo tre anni di attività, oltre a ricevere fatture sostanziose dai sub-sub-fornitori e ad emetterne a propria volta, per detrarre la relativa imposta sul valore aggiunto, subappaltava il cablaggio ad altre tre ditte: “Sparacia Giovanni”, “Catanzaro Cristina” e “Errante Parrino Francesco”. Queste ultime, con le agevolazioni fiscali previste dalla “legge Tremonti”, hanno cessato la loro attività dopo tre anni; aziende “fittizie”, che nella sostanza non avevano struttura aziendale, nate con il solo fine di emettere fatture alla ditta “URBANO Giuseppe”.
Questo sistema piramidale avrebbe permesso un’evasione fiscale stimata in 35 miliardi delle vecchie lire.
E a curare gli interessi economici di Carmelo Patti c’era Michele Alagna, insegnante e commercialista, fratello di Franca che è la madre dell’unica figlia certa (anche se non riconosciuta) di Matteo Messina Denaro.
Michele Alagna era una sorta di “alter ego” del Patti in territorio di Castelvetrano: ricopriva cariche societarie nelle sue aziende, custodiva gioielli per suo conto, gestiva alcuni conti correnti ed è stato, secondo gli inquirenti, l’architrave del sistema piramidale alla base della struttura del cablaggio.
Secondo i giudici, Patti avrebbe scelto di avvalersi dell’Alagna in base alla parentela di quest’ultimo con i Messina Denaro. La difesa aveva però obiettato che i rapporti tra il professionista e l’imprenditore erano sorti nel 1991, mentre la nascita della figlia di Matteo Messina Denaro risale al 1996. Ma i giudici hanno considerato l’argomento “alquanto debole”, dal momento che Franca Alagna ha partorito la figlia Lorenza all’età di 35 anni: “Nessuno può affermare che si sia trattato di un concepimento estemporaneo, frutto di una relazione occasionale – scrivono - Sia l'età della donna che la scelta della famiglia del boss di accoglierla in casa, sono segni di una relazione che durava da tempo e la maternità una scelta consapevole, maturata con la stabilizzazione (nei termini in cui una relazione con un latitante può esserlo) del rapporto negli anni”.
Inoltre, per far transitare i flussi di denaro provenienti dalle aziende fittizie, Michele Alagna utilizzava dei conti intestati a prestanome che erano del tutto estranei all’attività di cablaggio, finiti
tra la cinquantina di indagati nel 2000, per la frode fiscale relativa alla Cable Sud. Conti che appartenevano anche all’allora sindacalista della Uil Santo Sacco e alla sorella Rosanna. Oltre che
all’allora consigliere provinciale Giovanni Lo Sciuto e alla moglie Rosalba Riccobono che, “pur non essendosi mai occupati di cablaggio - scrive il Tribunale di Trapani – sono soggetti estremamente vicini alla famiglia Messina Denaro”.
Lo Sciuto è stato testimone di nozze di Michele Alagna e, fra le agende e gli appunti che erano stati sequestrati al commercialista, si legge, “è stata rinvenuta una ‘bozza’ di lettera di ringraziamento agli elettori di Lo Sciuto”. Inoltre, dagli accertamenti bancari, era risultata “una mole considerevole di operazioni effettuate anche nei confronti di altri coindagati, nonché il consistente importo delle operazioni poste in essere, sia in assegni che per contanti (per diverse centinaia di milioni di lire, non giustificate dall'attività svolta)”.
“Il Lo Sciuto – scrive ancora il Tribunale di Trapani - è stato uno dei soci fondatori, della ‘Futura Calze Srl’, unitamente, tra gli altri, alla sorella ed al cognato di Messina Denaro Matteo (MESSINA DENARO Giovanna classe 60 ed ALLEGRA Rosario classe 53).
Eventi comunque lontani nel tempo e privi di rilevanza penale, che non hanno impedito a Giovanni Lo Sciuto di diventare, nel 2013, un componente della commissione parlamentare antimafia regionale.
Altri soci della Futura Calze, scrive sempre il Tribunale, erano Giulio Cesare Cavarretta, Antonio Ottavio Cavarretta, Giacomo Centonze ed Antonino Centonze.
Anche gli ultimi due, pur non avendo mai operato nel campo dei cablaggi, avevano negoziato assegni emessi dai Patti per un totale di più di 170 milioni delle vecchie lire.
Ma al di là dei cavi per la Fiat o degli affari nel settore turistico (Valtur), alla base di questa confisca record c’è per i magistrati una presunta sperequazione degli investimenti di Patti negli ultimi trent’anni ed i suoi redditi. E se non ci sono prove che collegano il suo impero di 5 miliardi di euro alla vicinanza a Cosa nostra o al riciclaggio dei soldi del capomafia castelvetranese, una buona parte di queste sostanze sarebbe comunque frutto di evasione e frodi fiscali.
I suoi legali hanno invece definito il sequestro-confisca un “corto circuito giudiziario” e hanno fatto sapere di essere pronti a ricorrere in tutte le sedi giudiziarie.
Egidio Morici