Con una mannaia, tentò di decapitare, non riuscendovi per la pronta reazione della vittima, il titolare di un’autocarrozzeria che non gli gonfiò le ruote del ciclomotore. Non perché non voleva, ma perché non gli funzionava il compressore.
Adesso, al mancato omicida, il 36enne tunisino Mohamed C’Ocri, il Tribunale di Marsala (presidente Alessandra Camassa) ha inflitto otto anni di carcere.
Il fatto accadde in contrada Santo Padre delle Perriere. Il carrozziere, Michele Bottiglia, stava lavorando all’interno della sua officina e si salvò “parando” il colpo diretto alla testa con il braccio destro, che alzò d’istinto e che rischiò di essere tranciato. Mohamed C’Ocri fu, poi, arrestato dai carabinieri. In Tribunale, Bottiglia ha spiegato che l’11 luglio 2017, mentre era intento a riparare un’auto, vide entrare C'Ocrì, che gli chiedeva di gonfiargli una ruota del ciclomotore. “Io avevo il compressore guasto – ha raccontato Bottiglia - e gli ho detto che poteva andare al vicino rifornimento di benzina. Lui si allontanò senza dire nulla. Pochi secondi dopo, vidi l’ombra di qualcuno che entrava nella mia officina. Pensai che fosse un cliente. E invece con la coda dell’occhio mi accorsi di un braccio che si stava alzando per colpirmi con un grosso coltello. D’istinto, quindi, alzai il braccio per proteggere la testa”. Il tunisino, noto con il soprannome di "sette sette", aveva preso la mannaia da un sacchetto posto sul manubrio del suo ciclomotore. Il fatto strano è che il mancato omicida, subito dopo il fatto, non si allontanava. Anzi, come se niente fosse, diceva a Bottiglia: “Michele, sei amico mio, non è successo nulla”. E anche per questo, nel corso del processo, la difesa (prima l’avvocato Melchiorre Palermo, poi il collega Salvatore Errera e infine di nuovo Palermo) ha tentato la via dell’eventuale incapacità di intendere e di volere dell’imputato, per il quale il pm Silvia Facciotti aveva invocato 10 anni di carcere. Ma Mohamed C’Ocri non doveva rispondere solo del tentato omicidio del carrozziere. E’ stato processato, infatti, anche per avere minacciato di morte i proprietari della casa in cui abitava: Melchiorra Grazia Ienna, la figlia Alessia Drago Di Stefano e il genero Salvatore Lanzetta, tutte “parti offese” assistite dall’avvocato Antonino Rallo. Il 10 luglio 2017, li avrebbe minacciati con un grosso coltello da macellaio. Poi, sempre secondo l’accusa, avrebbe anche dato fuoco alla loro casa. Ma per quest’ultimo fatto il processo deve ancora cominciare.