Sarà esaminato in Tribunale, a Marsala, il timbro del Commissariato di polizia di Mazara che secondo la Procura marsalese sarebbe stato utilizzato in una relazione di servizio del 2012 e in una richiesta del 2013.
Entrambe, secondo l’accusa, “false”. Il Tribunale ne ha disposto, infatti, l’acquisizione. Il processo è quello che vede imputati i sovrintendenti di polizia Vito Pecoraro, di 57 anni, Antonio Sorrentino, di 56, e l’assistente Vincenzo Dominici, di 49.
Le accuse, a vario titolo contestate, sono abuso d’ufficio, falso in atto pubblico, favoreggiamento e calunnia in danno dei carabinieri. Lo scorso 19 giugno, il pm Antonella Trainito ha chiesto la condanna a 6 anni di carcere per Pecoraro e Dominici e a 3 anni e mezzo per Sorrentino. L’inchiesta, svolta dalla sezione di pg della Guardia di finanza della Procura di Marsala, è nata in seguito agli sviluppi del procedimento che, il 6 luglio 2015, in Tribunale, ha visto condannati Pecoraro e Dominici a tre anni di reclusione ciascuno, nonché a 5 di interdizione dai pubblici uffici, per falso ideologico (è in corso l’appello). Processo nel corso del quale è scaturita l’indagine che vede Pecoraro e Dominici, insieme con Sorrentino, accusati di avere redatto una relazione di servizio, per la Procura “falsa”, in quanto retrodatata, proprio al fine di scagionare i primi due poliziotti dalle imputazioni. A Pecoraro e Dominici si contesta il fatto di non avere adottato, nel 2012, alcuna sanzione (né sequestro, né multe) dopo avere fermato, ad un posto di blocco, un’auto (Fiat Panda) priva di copertura assicurativa, non revisionata e su cui gravava anche un fermo amministrativo dell’Agenzia delle Entrate. Sul mezzo, però, i carabinieri avevano piazzato una microspia. Il proprietario, Vittorio Misuraca, quel giorno in compagnia di una prostituta sudamericana, era infatti indagato per sfruttamento della prostituzione. Ma il 30 giugno 2014, davanti il Tribunale di Marsala, nel processo ai due colleghi, il sovrintendente Sorrentino dichiarò che c’era una relazione di servizio, datata 19 aprile 2012, in cui Pecoraro spiegava che al posto di blocco non furono adottati provvedimenti perché sapeva che sull’auto c’era la microspia dei carabinieri. Secondo l’accusa, però, la relazione sarebbe stata redatta nel 2014. Quindi, molto tempo dopo. “E’ mai possibile – ha affermato il pm lo scorso 19 giugno – che appena vengono disposte intercettazioni, già tutti lo sappiano? I carabinieri hanno detto che mai lo avrebbero rivelato”. A difendere gli imputati sono gli avvocati Giuseppe De Luca, Gianni Caracci, Paolo Paladino, Maurizio D’Amico e Stefano Pellegrino.