La deputata di Italia Viva , ex LeU, Giusy Occhionero ha «un grave difetto di consapevolezza» oppure «una connivenza» con il suo ex collaboratore parlamentare Antonello Nicosia, esponente dei Radicali Italiani, fermato con l’accusa di essere affiliato a Cosa nostra, con legami stretti col boss Matteo Messina Denaro.
Si è preso fino all’ultimo minuto consentito dalla legge. E 48 ore esatte dopo la richiesta di convalida del fermo, il gip di Sciacca Alberto Davico, con un provvedimento di 247 pagine, ha spiegato perché Nicosia deve restare in carcere. Parole molto severe, quelle del magistrato, che non ha dubbi che i gravi indizi di colpevolezza indicati dai pm palermitani ci siano. A carico di Nicosia, come degli altri quattro fermati: il boss di Sciacca Accursio Dimino e i tre suoi favoreggiatori.
Nella motivazione il gip ha sottolineato «la spiccata pericolosità criminale» degli indagati e ha definito Dimino e Nicosia «a pieno titolo inseriti nell’ambito della criminalità organizzata di stampo mafioso».
Ma se le valutazioni sui due fermati, accusati di associazione mafiosa, per quanto severe, erano attese, colpiscono le parole usate dal magistrato nei confronti della parlamentare Occhionero che, ignorando la condanna a 10 anni e sei mesi per traffico di droga subita da Nicosia, gli aveva fatto un contratto da assistente parlamentare e ci andava nelle carceri a incontrare boss detenuti.
Comportamenti che, secondo il giudice dimostrano o «un grave difetto di consapevolezza» oppure «una connivenza». Sospendendo il giudizio sulla posizione della Occhionero, al momento non indagata, il gip sottolinea però che «tramite un messaggio proveniente dalle carceri può essere ben ordinato un omicidio e garantita l’operatività di Cosa nostra».
Inoltre, il gip parla di «infiltrazioni gravissime di Cosa nostra negli apparati dello Stato, strumentalizzati per fini apparentemente nobili, in realtà volte ad alleggerire il rigore della detenzione dei mafiosi». Il riferimento è all’interesse mostrato dal Radicale per le condizioni dei carcerati, secondo l’accusa
solo un paravento per entrare nelle celle, vedere i capimafia, portare all’esterno informazioni e messaggi e fare avere loro benefici. «Si osserva - aggiunge - che le prerogative attribuite in sede parlamentare ai fini di collaborazione dei membri delle Camere venivano distorte e strumentalizzate fino a fornire la chiave di accesso a un mafioso presso le carceri italiane ai fini dei contatti con i boss». Sta ora alla Procura di Palermo valutare la posizione della parlamentare, che da ottobre è passata a Italia Viva.