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12/11/2019 07:02:00

Mafia – 143 anni di carcere a 13 imputati “Annozero” processati in abbreviato

Il gup di Palermo Cristina Lo Bue ha condannato a complessivi 143 anni di carcere 13 dei 14 imputati del processo abbreviato “Annozero”. Il pm della Dda Francesca Dessì aveva chiesto la condanna di tutti gli imputati, invocando 176 anni di reclusione.

La pena più dura (19 anni e 4 mesi) il gup Lo Bue l’ha inflitta all’anziano boss campobellese Vincenzo La Cascia, di 71 anni, mentre a 18 anni e 4 mesi è stato condannato il suo compaesano Raffaele Urso, detto “Cinuzzo”, di 60. Entrambi sono considerati due boss di primo livello negli organigrammi di Cosa Nostra belicina, capeggiata dal superlatitante Matteo Messina Denaro.

A 15 anni, invece, è stato condannato Nicola Accardo, 54 anni, ritenuto il capomafia di Partanna. Queste le altre condanne: dodici anni al 55enne campobellese Filippo Dell’Aquila e al 49enne partannese Antonino Triolo, undici anni e 4 mesi ai castelvetranesi Giuseppe Paolo Bongiorno, di 31 anni, e Giuseppe Tilotta, di 57, undici anni a Calogero Guarino, 50 anni, anche lui di Castelvetrano, dieci anni e 8 mesi al 41enne Leonardo Milazzo, altro castelvetranese, otto anni e 4 mesi al campobellese Andrea Valenti, di 67 anni, otto anni al mazarese Angelo Greco, di 50 anni, tre anni e 4 mesi al 47enne campobellese Mario Tripoli, assolto però dall’accusa di associazione mafiosa, e due anni e mezzo al 34enne castelvetranese Bartolomeo Tilotta, imputato soltanto per favoreggiamento. Per alcuni di loro, il gup ha sentenziato l’assoluzione per qualche capo d’imputazione. Il gup ha, inoltre, deciso la confisca delle imprese individuali “Triolo Antonino” e “Tilotta Bartolomeo”. L’unico imputato ad uscirne completamente indenne è stato il 40enne castelvetranese Giuseppe Rizzuto, assolto perché “il fatto non sussiste” dall’accusa di favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra. A difenderlo è stato l’avvocato Francesco Moceri, che ha così commentato: “Sono molto soddisfatto, perché, dopo le pene sofferte dal mio assistito, è stata riconosciuta la sua innocenza”.I condannati, ad eccezione di Mario Tripoli e Bartolomeo Tilotta, dovranno anche versare in solido 18 mila euro, a titolo di risarcimento danni, alla parte civile Pasquale Calamia, ex consigliere comunale del Pd a Castelvetrano, che tra il 2008 e il 2013 subì alcune intimidazioni. Al Calamia, inoltre, Bongiorno dovrà versare 8 mila euro (di cui 4 mila di provvisionale). Risarcimenti (10 mila euro a titolo provvisionale) anche per i Comuni di Castelvetrano e Campobello di Mazara, anche loro parte civile, come pure Sicindustria, Antiracket Trapani (avv. Giuseppe Novara), Centro “Pio la Torre”, “La verità vive” di Marsala (avv. Peppe Gandolfo), Codici Sicilia (avv. Giovanni Crimi), Antiracket Alcamese e Centro “Pio La Torre”. Per loro, 3 mila euro ciascuno.

L’operazione “Anno Zero” ha scardinato altri gangli vitali delle famiglie mafiose belicine. In carcere finirono presunti boss, gregari e fiancheggiatori. Il blitz scattò all’alba del 19 aprile 2018. Ventidue furono i provvedimenti di fermo emessi dalla magistratura. Tra questi, uno anche per Matteo Messina Denaro, la cui posizione, però, è già stata stralciata dal gup Lo Bue in quanto “irreperibile”, con rinvio al 21 febbraio 2020. Sotto processo, davanti il Tribunale di Marsala, invece, sono finiti in diciotto. Tra loro anche due cognati del boss latitante. E cioè Gaspare Como e Rosario Allegra, di 50 e 65 anni. Quest’ultimo è deceduto, però, lo scorso 13 giugno, a seguito di un aneurisma cerebrale, nell’ospedale di Terni. Aveva 65 anni. Era recluso nel carcere umbro. Un ruolo di vertice si contesta a Gaspare Como. Nell'inchiesta, è emerso l'interesse del clan anche nel settore delle scommesse on line, oltre ai reati di associazione mafiosa, estorsione e danneggiamenti. Tra difensori impegnati a Marsala e a Palermo, gli avvocati Giuseppe Ferro di Gibellina, Vito Cimiotta, Luca Cianferoni, Luisa Calamia, Giuseppe Pantaleo, Walter Marino e Gianni Caracci. Quest’ultimo, nella sua arringa, aveva affermato: “Nelle intercettazioni, non è affatto risultato, come viceversa dedotto dalla polizia, che l'imputato Nicola Accardo abbia pronunciato la parola Matteo, riferibile secondo la Dda al latitante Messina Denaro”. A giudizio del legale, inoltre, “il significato delle intercettazioni indicato dagli investigatori è quasi fantasioso, non essendovi alcun logico collegamento con le parole pronunciate dagli interlocutori. Tra l'altro – ha continuato - a seguito di incarico da me dato ad un consulente tecnico per trascrivere l'intercettazione ritenuta più indiziante per l'Accardo, non è affatto risultato che, come viceversa dedotto dalla Polizia, l'imputato avesse pronunciato la parola Matteo, riferibile secondo la DDA al latitante Messina Denaro”. Gianni Caracci ha, poi, contestato non solo la funzione di capomafia attribuita a Nicola Accardo, attualmente detenuto in regime di “41 bis” nel carcere dell’Aquila, ma anche la sua stessa appartenenza a Cosa Nostra. Il giudice Lo Bue, però, si è mostrato di diverso parere..