Resta in carcere il Radicale Antonello Nicosia, ex assistente parlamentare di Giusi Occhionero, eletta con Leu e poi passata ad Italia Viva.
E con lui resta in carcere anche il (presunto) boss di Sciacca, Accursio Dimino, ritenuto uno dei fedelissimi dell’ultimo latitante Matteo Messina Denaro.
Con l’accusa di associazione mafiosa, lo scorso 4 novembre, il provvedimento di fermo era stato eseguito dai carabinieri del Ros, su mandato del procuratore aggiunto di Palermo Paolo Guido e dei sostituti Geri Ferrara e Francesca Dessì.
Lo aveva convalidato il Gip di Sciacca, Alberto Davico.
Ma la misura sarebbe decaduta entro venti giorni, se non fosse stata condivisa dal “giudice competente”.
E dato che la competenza per materia riguarda Palermo, ieri è arrivato il provvedimento del Gip Annalisa Tesoriere che, confermando l’impianto accusatorio che ritiene anche il Nicosia “pienamente inserito nell’associazione mafiosa”, ha confermato la misura restrittiva del collega di Sciacca.
Sia Accursio Dimino (detto “Matiseddu”), già condannato per associazione mafiosa, che Antonello Nicosia, esponente di rilievo dei Radicali Italiani, sono ritenuti entrambi organici alla famiglia mafiosa di Sciacca.
Il secondo, già condannato in via definitiva a 10 anni e 6 mesi 6 di reclusione per traffico di sostanze stupefacenti, era stato scarcerato da oltre 10 anni, diventando un punto di riferimento per i radicali nelle battaglie per i diritti dei detenuti.
Ma come è emerso dalle carte degli inquirenti, Nicosia, sfruttando il suo incarico di assistente parlamentare, riusciva ad entrare nelle carceri di massima sicurezza veicolando i messaggi dei boss all’esterno.
E con il boss di Sciacca Accursio Dimino, si sarebbe occupato di affari, progettando persino un omicidio.
Per i tre (presunti) fiancheggiatori arrestati nello stesso procedimento, i fratelli Ciaccio e Massimiliano Mandracchia, le cose invece cambiano: per loro il Gip di Palermo non ha confermato il carcere, sostituendolo con i domiciliari.
I difensori di Dimino e Nicosia potranno comunque chiedere l’annullamento dei provvedimenti, ricorrendo al Tribunale del Riesame.