Determinazione. Angoscia. Coraggio. Paura. Smarrimento. Consapevolezza. Sono questi i sentimenti che hanno accompagnato Chanel Miller nel racconto de “Io ho un nome. Una storia vera”, edito da La Tartaruga. Un memoir che impatta dentro la vita di chi legge il libro, la scrittrice non si risparmia, non centellina emozioni né ironia, dona se stessa, il suo intimo.
È una storia vera, fatta di resilienza, di tante attese, perché quando si racconta di uno stupro non stupro, la vittima stenta a essere creduta, specie se quella sera ha bevuto un po' di più. Se è un uomo ad avere bevuto un bicchierino di più è un tipo allegrotto, se è una donna è una ubriacona. Una serie di steriotipi che si accompagnano in queste righe.
Le parole hanno un peso, hanno aiutato Chanel a scrivere al suo aggressore, a liberarsi di un peso che ha portato per mesi interi, non sulla testa ma sulla pelle.
Il dolore è percepibile, una donna che si racconta, che ha temuto i giudizi, gli occhi invasivi e inopportuni di chi la fissava. Mette a nudo i vizi procedurale e i traumi subiti sia fisici che processuali. Tornare alla vita si può con coraggio, un manifesto di verità e di speranza per le donne.
La copertina del libro è essa stessa strada per migliorare ciò che non si può cambiare, le venature in oro sono utilizzate in Giappone per valorizzare le crepe degli oggetti in ceramica.