Alla mezzanotte del 31 dicembre, non succede soltanto di strappare dalla parete l’ultima pagina del calendario del 2019. L’impercettibile, eppure decisivo, passaggio da un anno all'altro stavolta ci introduce in un nuovo - e per definizione, imprevedibile - decennio: una prospettiva interminabile, si potrebbe pensare, per una società che comincia ad adattarsi al ritmo delle effimere, i piccoli insetti acquatici che sopravvivono appena un giorno. O meno poeticamente alla durata di una storia su Instagram, che inesorabile scompare dopo ventiquattro ore.
Allora, per attraversare insieme questa invisibile linea di confine, in direzione del 2020, abbiamo chiesto ad alcuni scrittori siciliani, che periodicamente avete letto sulle nostre pagine, di raccontarci quali parole portano con loro in questo viaggio: quale parola sintetizza il sentimento dei dieci anni che ci lasciamo alle spalle, quale raccoglie le speranze che animano i prossimi dieci, venti, cento?
Con questo sillabario vorremmo cominciare a muoverci dentro la complessa stagione che si sta aprendo davanti a tutti noi. Sicuri che non esiste un tempo indecifrabile, oscuro o tenebroso: per poterlo leggere, però, è sempre necessario avere delle parole che ci facciano da lumi.
di Giacomo Pilati
La parola del decennio trascorso: Tolleranza
Una parola che è come certi medicinali. Cura la malattia, ma poi gli effetti collaterali sono gli stessi; certe volte pure peggiori del rimedio. La tolleranza implica una superiorità insopportabile. Chi tollera è il guardiano del gregge. E quello che dall’alto della vetta segna i buoni e cattivi. E la sua magnanimità è proporzionale solo al suo egoismo. Il tollerante è il capo classe a scuola, quello bravo e spocchioso che divide la lavagna in due col gesso. E lui però è tollerante con tutti, perché poi tanto è il maestro a esercitare il dominio dell’intolleranza. E lui questo lo sa. Il tollerante è il pusher dei buoni sentimenti, quello che aspetta fuori col bavero della giacca alzato, alla fine della festa. È il genio compreso della favola. Quello che riceve gli applausi quando cala il sipario. Anche da quelli che non si sono accorti che lui è solo quello che aspetta fuori. Col bavero della giacca alzato. Perché la festa l’ha organizzato un altro. La tolleranza non è il contrario della intolleranza. È solo il suo lato b.
La parola del decennio prossimo venturo: Intolleranza
Una parola che è come certi medicinali. Che danno dipendenza. Che all’inizio è solo per un mese, tanto basta per dormire tranquilli e senza pensieri. Il Lexotan del senso di colpa a rate. Cinque gocce, poi sette, poi dieci e infine a scalare. E poi invece il pensiero di non avere più pensieri diventa il pensiero principale. Figlio dell’odio. Della becera ignoranza. L’ignoranza fidelizzata dal torpore dei sentimenti. La delega in bianco al mutuo della cultura della indifferenza. L’intolleranza non è il contrario della tolleranza, semmai è l’inverso della compassione. Che è il desiderio del bene. La percezione di una emozione che accarezza il cuore. Una passeggiata fra i boschi della conoscenza. Per respirare l’aria di chi ha voglia di amare e basta. Senza gli applausi e i cori. Una meta di opere silenziose dove conta la testimonianza. Che rifugge dall’esempio, la qualità sbagliata dell’orgoglio. Appassita sui graticci del nuovo sentire comune.
Ps: le due parole restano intercambiabili per tutto il ventennio.