Si chiama Guido Paolilli, vive a Montesilvano a Pescara, è in pensione da anni, e giovedì dovrà presentarsi davanti al giudice del tribunale civile di Palermo. Vincenzo Agostino e le sue figlie gli chiedono 50 mila euro di risarcimento perché ritenuto il poliziotto che ha distrutto gli appunti del figlio Nino Agostino, il poliziotto palermitano ucciso il 5 agosto del 1989 insieme alla moglie incinta.
"E’ un dolore ancora grande - dice Vincenzo Agostino – perché oggi so che la verità è dentro lo Stato". Con il suo avvocato Fabio Repici ha deciso di chiedere un risarcimento all’ispettore accusato di aver depistato le indagini con la distruzione degli appunti del figlio.
"Le intercettazioni della Dia non lasciano dubbi sul suo ruolo". Il 21 febbraio 2008, a casa Paolilli stavano seguendo un'intervista del signor Agostino, sulla Rai, il figlio dell'ispettore chiese un commento, la risposta del padre fu lapidaria: "Una freca di cose, che… proprio… io ho pigliato e poi ne ho stracciato…".
Cosa aveva scritto Nino Agostino in quegli appunti? E perché la squadra mobile, diretta da Arnaldo La Barbera, che la sera stessa dell'omicidio ricevette una nota da parte di un collega di Nino, in cui diceva che si stava occupando delle indagini per la cattura di Riina e Provenzano assieme ad un collega che veniva a Palermo di proposito, iniziò ad indagare su una possibile ritorsione dei familiari di un'ex fidanzata del poliziotto? Quel collega di Nino era proprio Paolilli.
"Paolilli come ufficiale di polizia giudiziaria - afferma l’avvocato Repici – avrebbe dovuto preservare e portare a conoscenza dell’autorità giudiziaria ogni reperto utile all’accertamento della verità sul delitto e sulla sua causale.