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22/01/2020 06:54:00

I 100 anni di Fellini, Cavazzoni: "Dal mio romanzo il suo ultimo film, La voce della luna"

 «Il poema dei lunatici» di Ermanno Cavazzoni è il romanzo di uno un po’ scentrato, un vagabondo di mente, si chiama Savini e vaga tra apparenze e illusioni, alla ricerca delle voci dentro i pozzi. Savini incontra un altro singolarissimo personaggio, un ex prefetto affetto da mille paranoie che gli mostrano un mondo pieno di nemici, tutti intenti in un’eterna congiura. Ma i fantasmi che inseguono, o da cui inseguiti, sono solo parvenze, è un modo di vedere il mondo e di viverlo così come loro lo interpretano. E se qualcuno ha una mente particolarmente accesa, come Savini e l’ex prefetto, il mondo viene molto deformato rispetto alla mentalità comune. Nel bene o nel male.


Certo è che Federico Fellini - di cui quest’anno ricorre il centenario dalla nascita - doveva avere davvero una mente particolarmente accesa, infatti fu tra i primi ad accorgersi della sorprendente portata immaginifica del libro di Cavazzoni. Che diventerà nel 1990 il motivo di ispirazione del suo ultimo film, «La voce della luna».


Oggi Ermanno Cavazzoni ripubblica con La Nave di Teseo «Il poema dei lunatici», ma solo pochi mesi fa è uscito il suo nuovo libro, «Storie vere e verissime», che, rispetto al mondo delle sembianze della sua opera prima, sembra esserne l’opposto.


Nella nostra ultima conversazione su TP24 confessava che i suoi libri, con il passare degli anni, “diventano i libri di un altro”. Cosa la lega al suo esordio, «Il poema dei lunatici»?


È il libro che mi ha dato l’occasione di entrare nel mondo letterario, di incontrare Fellini, un evento bellissimo, era un’epoca bellissima, quella. Però il libro, e tutti i miei libri passati, li sento come dei figli che sono andati per la loro strada, e che diventano quindi sempre più estranei. Quando uno non vede un figlio per un po’ di tempo, lo ritrova cresciuto, lo riconosce diverso, ha acquistato una lingua diversa. E anche io sono cambiato, nel frattempo. «Il poema dei lunatici» parla come io non parlo più.


E ormai vive per conto suo.


Il libro è un essere vivente. Il libro, soprattutto se è un romanzo, è un vero e proprio essere vivente e quando uno lo legge è come se entrasse in relazione con un’altra persona parlante. E dato che la lingua, il parlare, sono caratteristiche proprie dell’uomo, il libro è un essere vivente che entra in colloquio con altre persone. Per me è difficile intervenire su quella voce, ecco perché è difficile che riesca a modificare i libri vecchi. Ci sono persone che li riscrivono, i libri vecchi, per esempio Gianni Celati, che spesso li ha modificati parecchio. Io no, perché se davvero ci mettessi mano, diventerebbero tutt’altra cosa.


Accennava al suo incontro con Fellini. Ci può dire della vostro rapporto?


Per un anno ci siamo visti, ogni settimana ci sentivamo per telefono pensando alla trasposizione cinematografica. Ma a parte questo, mi è rimasto nel cuore la persona di Fellini, che era un vero artista: disegnava, faceva queste bellissime caricature, quando scriveva non aveva mai la freddezza dello sceneggiatore, ma scriveva da scrittore, lo sarebbe potuto diventare. Poi aveva una bella mente, aperta alle immaginazioni che gli pullulavano. E in questo senso ci trovavamo molto vicini, come “due fratellini”, così diceva lui.


«La voce della luna» quanto si è allontanato dal «Poema dei lunatici»?


È cambiato molto. Sono due cose differenti. Giustamente, dico. Un film è una cosa ben diversa da un libro e un bravo regista deve mettere la sua personalità. Il libro è stato più un punto di partenza dove certi personaggi sono rimasti, dove certe scene, certi capitoli sono stati ripresi, ma è diventato un film di Fellini, a cui ho collaborato, certo, però l’impronta di Fellini è prevalente.


È vero che tutto nasce con una sua ricerca sulla “lingua dei matti”?


Il libro effettivamente è nato come appendice di una ricerca che ho condotto per l’Istituto dei Beni Culturali dell’Emilia Romagna sugli archivi degli ex manicomi. Dopo la legge Basaglia i manicomi erano stati chiusi, e tutti quei grossi archivi che contenevano le cartelle cliniche erano stati gettati nelle cantine, nei sotterranei, e stavano per finire male. Io ho fatto un’indagine sullo stato di questi archivi. Che fondamentalmente erano cinque in Emilia, perché c’erano cinque grossi manicomi; e mentre facevo l’indagine molto obiettiva ai fini del recupero e del restauro, mi leggevo certe cartelle cliniche, che a volte erano proprio come dei romanzi smontati. La cartella clinica raccoglieva tanti materiali: le diagnosi, l’anamnesi, il racconto della vita del paziente, i diari di cosa faceva giorno per giorno, le testimonianze, le lettere, le lettere del prete… Erano dei materiali straordinari, parecchi spunti per «Il poema dei lunatici» li ho avuti da queste letture.


Una curiosità: a lei piaceva il cinema di Fellini?


Mi ha fatto un enorme piacere conoscerlo perché i suoi film io li adoravo. «Amarcord» l’avevo già visto varie volte, ma anche «8 e mezzo». Credo da una certa età in avanti, da quando avevo vent’anni, ho visto le prime pellicole al cinema, e poi tutte le nuove che uscivano e mi hanno sempre molto colpito, mi sono rimaste impresse, e mi sono piaciute. Se fosse stato un regista che non amavo, che non mi piaceva, sarebbe stato imbarazzante il rapporto. Come lo è quando parli con una persona che è su un’altra onda rispetto a te. Invece con lui siamo entrati immediatamente in familiartà, proprio perché io apprezzavo enormemente i suoi film e lui aveva apprezzato il mio libro, quindi ci sentivamo “fratellini”, vicini, almeno dentro una sfera unica: questo è bellissimo, è bellissimo entrare in contatto con persone con cui si è in sintonia immaginativa.


Dal mondo delle parvenze passiamo nel 2019 alle «Storie vere e verissime». Sembra proprio un ribaltamento di prospettiva.


Perlopiù sono storie che affrontano delle questioni reali attorno a cui ruotano diversi luoghi comuni. Come i miracoli o gli ufo. Magari ci sono aspetti che si danno per scontati e su cui mi piace discutere come facevano gli illuministi nel Settecento. Sono molto affascinato dall’Illuminismo, da Voltaire, Diderot, che proponevano le loro obiezioni a temi del genere non rifiutandoli semplicemente, ma argomentandoli con una certa logica, fino a portarli al paradosso.


In che senso sono, o diventano, “vere”?


Se parlo degli alieni non è che dica ci sono o non ci sono. Vado vedere le testimonianze, cose che ho letto davvero, le comparse di alieni che alcune persone dicono di avere incontrato. Sono denunce registrate nei verbali dei carabinieri. E sono vere nel senso che sono davvero state dette e deposte.


Prima ha citato Gianni Celati. Tra le pagine più intense delle sue storie verissime, c’è anche un lungo racconto della vostra amicizia.


Celati è stata l’altra persona, oltre a Fellini, che mi ha dato molto, mi ha influenzato molto, e che ho ammirato. Per Celati avevo un’ottima opinione e un’ammirazione per i suoi libri, «Il poema dei lunatici» è abbastanza vicino alla scrittura di Celati. Pian piano me ne sono allontanato e la mia è diventata una strada diversa, ma per fortuna, ognuno deve avere la sua personalità. Però con Celati è stata una bella amicizia, che è sempre durata, e dura tutt’ora, dove ognuno fa la sua vita, ma anche lì ci intendiamo benissimo. Siamo molto diversi, Celati è molto più focoso di me, farebbe a pugni ogni tanto; io mi sento più stoico, accetto la vita così com’è.