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31/01/2020 06:00:00

Ecco chi è l’ex pentito di mafia Vincenzo Calcara

 Negli anni ’90 diventò collaboratore di giustizia, raccontando al giudice Borsellino di essere stato incaricato dal boss castelvetranese Francesco Messina Denaro di ucciderlo con un fucile di precisione.

Nel 2020 finisce in carcere per aver estorto 150 euro ad un ristoratore, ricattandolo col video di un topo che si era intrufolato nel dehor del locale (ne abbiamo parlato qui).

Dal mirino del fucile di precisione all’occhio elettronico dello smartphone. Un’evoluzione.

 

Ma chi è Vincenzo Calcara?

 

Classe 1956. Ha sempre sostenuto di essere un uomo d’onore riservato al soldo dell’ormai defunto capomafia, padre dell’eterno latitante Matteo.

Ma alla quasi totalità dei pentiti accreditati, la sua appartenenza a Cosa Nostra non risulta.

E certo, era “riservato”... Non lo sapeva nessuno, tranne che pochi fedelissimi. Talmente riservato che forse non lo sapeva nemmeno Francesco Messina Denaro.

 

Negli anni ’80 viene condannato a 14 anni per omicidio (ma non un omicidio di mafia). Viene arrestato dopo la sua fuga in Germania, dove sconta 5 anni nel carcere di Freiburg. Da lì scrive una lettera al suo avvocato in cui parla di una sua idea per farsi trasferire in Italia, facendo finta di sapere delle cose riguardo all’omicidio del sindaco Vito Lipari: “E quando sarei in Italia dico che non ho niente da dire – scrive - e facendo presente che è stata una mia messinscena in quanto non volevo stare in carcere in Germania. Al massimo penso che mi potranno condannare per calunnia!”.

 

Le cose poi vanno diversamente. E la messinscena, tra varie ritrattazioni, va avanti accusando come mandante dell’omicidio Lipari l’ex sindaco Antonio Vaccarino. Accusa dalla quale quest’ultimo verrà assolto.

Delle varie incongruenze delle dichiarazioni di Calcara, ce n’è una particolarmente significativa: tra gli uomini che avrebbero preso parte all’omicidio, ci sarebbe stato anche un certo Salvatore Ingoglia, detto Pietro. Che però era stato ucciso prima che avvenisse l’omicidio Lipari.

 

Nell’aprile del 1992, riferisce ai magistrati della DDA di Palermo uno scambio di droga e armi tra Cosa Nostra e la ‘ndrangheta, avvenuto dopo l’estate del 1991. Calcara, Francesco Messina Denaro, Antonio Vaccarino ed altri, si sarebbero recati a San Luca in Calabria, per scambiare 160 kg di

cocaina con 50 fucili kalashnikov. Dopo anni di udienze, viene fuori che tra gli ‘ndranghetisti presenti allo scambio, secondo Calcara, ci sarebbe stato anche Francesco Nirta, tetraplegico dal 1980 ma che il pentito (miracolo) avrebbe visto camminare tranquillamente.

Riferisce persino di una statua monumentale nel centro della piazza di San Luca. Statua che non poteva trovarsi lì, dal momento che era stata spostata altrove già dal 1986, molto tempo prima quindi della sua unica permanenza in quel luogo.

 

Poi c’è l’omicidio del giudice Gian Giacomo Ciaccio Montalto.

Nel corso del relativo processo, secondo la Corte d’assise, nessuno dei collaboratori di giustizia che hanno testimoniato, conosceva Calcara come “uomo d’onore”. Né, tantomeno, Calcara aveva dimostrato di conoscere bene la struttura e l’organigramma di Cosa Nostra.

Le ragioni del mendacio del Calcara - scriverà al riguardo la Corte d’assise di Caltanissetta nel 1998 - non sembrano riconducibili a spirito di vendetta nei confronti delle persone chiamate in causa, bensì dall’intento di conseguire dei vantaggi economici e dei benefici giuridico-amministrativi maggiori di quelli che avrebbe ottenuto limitando la sua collaborazione al settore della propria diretta esperienza criminale, senz’altro più modesta di quella di un associato a Cosa Nostra

                                      

Partecipa come testimone anche al processo per l’omicidio di Mauro Rostagno.

E siccome tutti sapevano che il giornalista, nelle sue trasmissioni, si occupava del rapporto tra mafia e massoneria, ecco che secondo Calcara i responsabili dell’omicidio sarebbero non solo agli affiliati di mafia, ma anche persone legate alla massoneria e alle istituzioni deviate. Persone della cui identità però non riesce a fornire nessuna informazione.

Come l’avrebbe saputo?

Francesco Luppino, detenuto nello stesso carcere insieme a lui, gli avrebbe confessato che “la botta si stava preparando ed era questione di poco tempo”.

E anche qui, c’entrerebbe qualcosa Vaccarino.

Calcara racconta infatti che l’ex sindaco gli avrebbe detto che “li fratuzzi nostri” si sarebbero occupati del caso.

In un primo interrogatorio, quando gli chiedono cosa volesse dire, risponde prontamente che il riferimento è ai collaboratori della famiglia mafiosa di Castelvetrano.

Ma quando lo interrogano una seconda volta, le sue certezze cambiano: si tratta dei “fratelli massoni”.

Dichiarazioni che i giudici non escludono possano provenire da fonti mediatiche e “Quanto alla conferma – si legge ancora tra le carte - che gli sarebbe venuta da Tonino Vaccarino circa la paternità del delitto, a suo dire ascrivibile alla famiglia mafiosa di Castelvetrano con la collaborazione delle cosche di Trapani e di Mazara, pesa ovviamente sulla credibilità di questa testimonianza de relato il fatto che il Vaccarino, accusato da Calcara di essere uomo d’onore della famiglia di Castelvetrano, è stato assolto da tale accusa”.

 

 

Negli anni, l’ex pentito non si è mai rassegnato alla sua condizione di “ex”. Ha sempre chiesto di voler essere sentito nuovamente dagli inquirenti.

Anche perché nel suo repertorio ci sarebbero i più grandi segreti d’Italia. Dall’attentato a Giovanni Paolo II, alla scomparsa di Emanuela Orlandi.

Perfino una sparatoria in uno spiazzo, teatro (il termine è forse il più appropriato) di un sequestro plurimo, alla presenza di Giulio Andreotti.

Una storia da “alta tensione”, raccontata anche in una video intervista rilasciata un po’ di tempo fa alla giornalista Enza Galluccio.

 

Insomma, la storia è (sarebbe) questa:

 

Quattro uomini d’onore, due di Francesco Messina Denaro e due di Provenzano, devono sequestrare tre uomini dell’alta finanza ed un generale del Sud America, con l’ordine di farli entrare in due macchine al cui interno c’erano quattro uomini dei servizi segreti deviati.

E sono questi ultimi che poche ore prima consegnano ai sequestratori le pistole per eseguire il ratto (nel senso di “rapimento”, da non confondere con la storia recente del ristorante genovese).

Ognuno si sceglie il suo uomo, Calcara si occuperà del generale.

Provenzano dà l’ok ed il sequestro ha inizio. Ma qualcosa va storto. E qualcuno (non si capisce bene chi) comincia a sparare.

Uno dei due fidatissimi di Francesco Messina Denaro (l’uomo d’onore ufficiale, non lui che era “riservato”) fa per rispondere al fuoco, ma gli si inceppa la pistola. A quel punto urla al Calcara di sparargli lui.

 

Nella video intervista, il suo racconto continua così:

 

Lascio il buon generale, che è stato bravissimo, e come un felino… un salto, con la pistola che avevo, gli dò due colpi me li ricordo sicuro, forse tre, tum tum in testa… E’ cascato come un sacco. Non ha sofferto però. L’unico uomo che ho ucciso non ha sofferto. E’ stato un ordine, dovevo farlo, mi avrebbero tagliato a pezzi. Casca per terra… ha una pistola di piccolo calibro, una 6 e 35. Io cosa faccio? Perché poi sono io l’autore in quel momento di… Mi abbasso, prendo quella pistola, lì c’è Francesco Messina Denaro che era vicino ad Andreotti, al cardinale, a Michele Lucchese… Eh, sparava nella direzione dove c’era il mio capo… Poteva ammazzare il mio capo! Quello era disperato,  ha fatto un errore madornale ovviamente. Allora, prendo la pistola, io appartenendo… un uomo  della famiglia di Castelvetrano, il mio capo assoluto Francesco Messina Denaro, prendo la pistola dalle mani del morto e gliela consegno a Francesco Messina Denaro. Lui mi fa una bella carezza, bravo Vincenzo”.

 

Ed in tutto questo, Andreotti?

 

Andreotti si rivolge al cardinale – continua Calcara - e gli dice: ‘ma non fai l’estrema unzione a questo cadavere?’. Il cardinale lo guarda e dice: ‘andiamo che si è fatto tardi’”.

 

Se fosse un film, l’inquadratura dall’alto allargherebbe lentamente il campo. Musica in crescendo. Titoli di coda.

 

Egidio Morici