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28/02/2020 08:22:00

Condanna defintiva per i carabinieri "picchiatori" di Pantelleria. La storia

E’ ormai definitiva la sentenza di condanna per i quattro carabinieri “maneschi” di Pantelleria.

Ritenendo, infatti, “inammissibili” i ricorsi delle difese, la quinta sezione della Corte di Cassazione ha confermato la sentenza con cui, il 26 marzo 2018, la Corte d’appello di Palermo aveva, a sua volta, confermato quella con cui il Tribunale di Marsala, il 15 dicembre 2015, condannò quattro militari dell’Arma imputati per le violenze (lesioni personali e sequestro di persona) che sarebbero state commesse, nel 2011, su persone fermate per controlli lungo le strade dell’isola.

In primo grado, la pena più pesante (4 anni e mezzo di reclusione) fu inflitta al maresciallo Claudio Milito, che adesso rischia il carcere. Condannati, inoltre, anche i carabinieri Luca Salerno (3 anni e 10 mesi), Lorenzo Bellanova (3 anni e 9 mesi) e Rocco De Santis (un anno e 6 mesi). Per Milito, Salerno e Bellanova anche 5 anni di interdizione dai pubblici uffici. Per De Santis, invece, l’interdizione è stata di un anno e mezzo. Per lui, comunque, pena sospesa. Tutti e quattro sono stati, inoltre, condannati a risarcire le parti civili. Con danno da quantificare davanti il Tribunale civile. Nel frattempo, però, a titolo “provvisionale” devono versare 20 mila euro a Vito Sammartano, un cuoco marsalese che d’estate si trasferisce a Pantelleria per lavoro, e 10 mila al pantesco Massimo Barbera. Il Tribunale aveva assolto da ogni accusa, invece, il carabiniere Stefano Ferrante, anche lui imputato per violenze, nonché il capitano Dario Solito (all’ex comandante della Compagnia di Marsala fu contestata l’omessa denuncia), e il maresciallo Giuseppe Liccardi. Quest’ultimo, all’epoca dei fatti comandante della stazione di Pantelleria, oltre che di omessa denuncia, era accusato anche di favoreggiamento. Alla fine, è stato scagionato. Nella sua requisitoria, il pm Antonella Trainito aveva parlato di persone “pestate a sangue” e, citando Kafka, chiuse a chiave in cella “senza alcuna ragione giuridica”. Censurata l’inazione dei superiori accusati di omessa denuncia. A Pantelleria, disse il pm, la stazione dei carabinieri “non era un presidio dello Stato, ma la repubblica autonoma di Milito e altri suoi colleghi”. L’indagine, condotta dalla sezione di pg della Guardia di finanza della Procura (all’epoca comandata da Antonio Lubrano) e coordinata dall’allora procuratore Alberto Di Pisa, fu avviata a seguito della denuncia di Vito Sammartano, che raccontò: “Sono stato fermato ad un posto di blocco e condotto in caserma verso le 4 del mattino e dopo l’alcoltest, a cui sono risultato positivo, seppur di poco, sono stato massacrato di botte”. Nel corso dell’inchiesta, poi, sono emersi anche altri episodi dello stesso genere, tanto che la Procura individuò altri “parti lese”. Oltre a Sammartano e Barbera, anche Giacomo Brignone, per il cui caso, però, i carabinieri furono assolti, mentre ci fu condanna per il sequestro, con uso di manette, del romeno Iva Diomed, che però non si è costituito parte civile. Come, invece, hanno fatto Sammartano e Barbera, assistiti dall’avvocato Gaetano Di Bartolo, che dopo la sentenza della Cassazione ha dichiarato: “Esprimo grande soddisfazione per questo risultato. La magistratura italiana, e in particolare la Procura ed il Tribunale di Marsala e la Corte d'appello di Palermo, riconoscendo le responsabilità dei 4 militari dell'arma con due epocali sentenze, rigorose ed ineccepibili, ha restituito dignità e decoro alle persone offese da me assistite. Queste sentenze rendono giustizia anche a coloro i quali sono stati altrettanto vittime di ingiustificate violenze da parte di operatori delle forze dell'ordine e per le quali mi auguro possa essere accertata la verità con altrettanto rigore”. A difendere gli imputati sono, invece, gli avvocati Stefano Pellegrino, Maurizio D’Amico, Gianpaolo Agate e Paolo Paladino. Quest’ultimo difendeva i tre carabinieri assolti.