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25/04/2020 06:00:00

Il duplice assassino di Via della Clessidra. Uno strano caso /2

di Marcello Benfante, con le tavole di Gianni Allegra

[Nelle puntate precedenti: Leonardo Zingales, pittore e cartoonist che funge da io narrante, dopo un abulico risveglio si reca al Caffè degli Artisti dov’è solito incontrarsi con l’amico Ferraù Maltese, detective privato a tempo perso. Ferraù sopraggiunge agitatissimo e gli espone il caso dell’assassinio del ragionier Carmelo Grevaglio, freddato con un colpo di pistola sul balcone di casa sua in via della Clessidra mentre fumava la sua ultima sigaretta serale. Del killer non si sa nulla. Neanche il sesso, poiché i due testimoni del delitto danno due versioni contrastanti: l’uno affermando che fosse un uomo; l’altro, sostenendo che si trattasse di una donna.]

 III
UNO STRANO CASO

«Quand’è, dunque, che l’anima coglie la verità? È evidente che, quando essa si accinge a considerare qualche questione e lo fa con l’aiuto dei sensi, cade in inganno»
« Esatto»
«E allora, non è attraverso l’attività razionale, più che con ogni altra, che l’anima coglie in pieno la verità del reale? »
«Sì»
(Platone, Fedone)

Devo confessare che lo strano caso del delitto di via della Clessidra mi intrigava moltissimo, nonostante il mio rapporto superficialissimo e sostanzialmente ludico con i misteri polizieschi.

Aveva infatti un che di ambivalente e di surreale che esercitava sulla mia immaginazione ipersensibile un’attrazione fatale a cui non sapevo opporre resistenza alcuna, come ogni cosa assurda e grottesca.

Il fatto era palese, elementare, ma al tempo stesso come insidiato da un’intima schizofrenia. Una sorta di lapalissiano nonsenso.

Era proprio il tipo di atmosfera straniata che amavo riprodurre nei miei quadri metafisici. A proposito, forse vi sarà capitato di vederne qualcuno in questa o quell’altra galleria, nelle mie rare e modeste mostre. Almeno, lo spero.

Un critico ha scritto che si collocano all’incrocio tra Magritte e De Chirico. Preferisco pensare a Savinio, per restare in famiglia. Ma naturalmente rivendico una mia originalità. Io sono io. E, tautologie a parte, ho un mio stile perfettamente riconoscibile, con una certa inclinazione al grottesco e al pastiche.

Se avete visto i miei quadri, conoscete anche le mie fattezze. Io infatti mi raffiguro sempre sulle mie tele. Sto sempre in un angolo, con i pennelli in mano o accanto a un cavalletto.

Un vezzo alla Hitchcock, è stato detto. Direi piuttosto un ricerca identità, di rispecchiamento. Un atto di presenza che dopotutto ha un’antica tradizione nella storia dell’arte, ma che nel mio caso ha pure un pizzico di autoironia.

Mi si può riconoscere per i miei baffi alla Salvador Dalì e la mia figura allampanata, un po’ donchisciottesca (e secondo certi miei amici, assai simile a quella di Ciccio Ingrassia proprio nella parte, a lui particolarmente congeniale, del cavaliere cervantesco).

D’altronde, le mie origini sono senz’altro spagnole, come attesta il mio cognome. Mio padre, buonanima, sembrava proprio un hidalgo, come ancora accade in molte figure malinconiche e orgogliose della gente siciliana.

Permettete che mi presenti: Leonardo Zingales, pittore (ahimé) della domenica per passione, autore di fumetti (che firmo con lo pseudonimo di Fernando Reis) e grafico pubblicitario per sbarcare il lunario.

Ma scusate la divagazione personale e forse un po’ narcisistica. Suppongo vi prema molto più sapere gli sviluppi del delitto di via della Clessidra.
Anch’io d’altronde ero piuttosto incuriosito e turbato dalla faccenda. Lessi dunque qualche articolo su Internet e cercai di farmi almeno un’idea meno approssimativa sullo svolgimento dei fatti e sulle incongruenze delle versioni. Le cronache tendevano quasi sempre a mettere in risalto gli aspetti più controversi della faccenda. Il giornalismo, in fondo, vive soprattutto di concorrenze esclamative.

Riguardo alla credibilità dei testimoni poteva muoversi qualche obiezione. Uno era un pensionato famoso nel quartiere per le sue millanterie galanti. L’altra una casalinga frustrata sempre sull’orlo di una crisi di nervi per una serie alquanto scontata di dissapori coniugali. Non era forse un caso che l’uomo avesse visto una donna e la donna invece un uomo. Incrocio singolarissimo e magari anche rivelatore.

Ognuno, si sa, vede quello che vuole vedere. L’anziano corteggiatore ha creduto di scorgere un’affascinante dama. La moglie trascurata e tradita ha invece proiettato l’immagine del marito nel ruolo di uno spietato omicida.

Messa così la faccenda, da due testimoni discordanti in un solo punto, ci si riduceva a due visionari dalla fervida fantasia. Una specie di allucinazione, allora? Non era possibile, ovviamente. Il morto c’era, eccome. Non era certo un miraggio.

Chi aveva dunque sparato? Il Bel Tenebroso o la Venere Bionda? E perché poi? Bisognava trovare il movente. La curiosità mi rodeva l’anima.

Avevo messo da parte tela e pennelli. Di dipingere non avevo alcuna voglia. Feci sì alcuni schizzi, tra cui le silhouette contrapposte di una specie di gangster-dandy e di una femme fatale che si fronteggiavano armati di pistola. Ma soprattutto eseguii alcuni schemi grafici in cui riassumevo i dati logistici del problema: l’asse dei testimoni, l’ipotenusa della traiettoria letale, in un aereo triangolo della morte. La perfetta allegoria del numero tre, pensai.

Ma anche un specie di codice binario. La fronte spaccata a metà e il doppio assassino. Due testimoni con la loro mezza verità ciascuno. Tutto diviso due o moltiplicato per due. Dimezzato o raddoppiato. Un vero rompicapo.

Telefonai dunque a Ferraù per sapere a che punto fossero le sue indagini.

- Le mie indagini? A un punto morto. Più morto dell’ammazzato, si può dire. Il movente non c’è ancora. La vittima, il ragioniere Carmelo Grevaglio, di anni cinquantaquattro, a quanto sembra, era un uomo integerrimo, un professionista stimatissimo, un vero galantuomo. Non aveva nemici, conduceva una vita modesta e impeccabile tutta casa e lavoro. Padre affettuoso, marito devoto, una figura esemplare.
- Troppo perfetto, non ti pare? Qualcosa suona falso in tanta probità.
- O insensato…
- E perché insensato? Mica si uccidono solo le canaglie...
- Ovviamente. Intendo dire che la ragione per cui qualcuno lo volesse morto, tuttora mi sfugge. Ammesso che il quadretto edificante corrisponda alla realtà.
- E se si fosse trattato di un caso, di una tragica fatalità?
- Il colpo mortale tutto può sembrare tranne che una pallottola vagante. Per quanto i tiri del destino siano imponderabili, possiamo senz’altro escludere che si tratti di un puro caso...
- Certo, assassino e vittima erano praticamente uno di fronte all’altro, a breve distanza. C’è una sorta di esprit géométrique in questa esecuzione...
- Hai abbandonato, vedo, l’ipotesi della coppia sincronizzata...
- Ma sì, tutto sommato è una congettura troppo inverosimile, perfino per me.
- Tutta questa storia è piuttosto inverosimile... più ci rifletto e meno mi raccapezzo...
- Una storia di mafia?
- Non mi pare proprio... lo stile, diciamo così, è tutt’altro. Anche se non sarebbe certo il primo caso di un contabile coinvolto negli affari di Cosa Nostra.
- Certo... riciclaggio, conti in nero, pizzo...
- E se fosse invece una storia passionale? Di sesso, di corna...
- Ciò rafforzerebbe l’ipotesi di un’assassina...
- Non è detto. Questi sono solo stereotipi. Comunque, stiamo procedendo senza un metodo, senza un criterio. Non ha senso fare mille congetture senza un fondamento indiziario.
- Eppure... conosco una persona che potrebbe darci una mano a trovare il bandolo della matassa...
- Darci una mano... mi pare che tu abbia preso molto a cuore questa vicenda. Di chi si tratta? Un genio, suppongo...
- Proprio così. L’uomo più intelligente che abbia mai conosciuto.
- Niente meno... e come si chiama questo cervellone?
- Questo non lo so. Alcuni lo chiamano Diogene. Ma per quelli che lo conoscono bene è il Professore, il Professore per antonomasia...
- Come sarebbe dire? Avrà pure un nome.
- L’aveva certamente, ma ora ne fa a meno, come di quasi tutto.
- Ho capito perché Diogene... non dirmi che vive in una botte...
- No, non lo sopporterebbe... è tremendamente claustrofobico. Vive per strada, trova rifugio negli androni, si ripara sotto i balconi, come un cane randagio.
- Un clochard, insomma.
- Sì, ma il re dei clochard. Uno spirito libero. Un tempo si dice che insegnasse, forse all’università. Filosofia o matematica, non so... nessuno sa. Poi ha mollato tutto. Non sopportava più la recita della sua vita quotidiana...
- Uno fuori di testa, diciamo pure...
- Direi piuttosto uno con una testa sopraffina. Un sottile enigmista. Uno che davvero ha una lanterna speciale per studiare l’uomo.
- E vorresti coinvolgerlo. Ma lui sarebbe disponibile? Non mi pare un tipo su cui si possa contare.
- Se riusciamo a stuzzicare le sue straordinarie capacità logiche potrà esserci sicuramente di grande aiuto.
- Dici? Ma sì, proviamo, dunque. In fondo che abbiamo da perdere? Più buio che a mezzanotte non può fare...
- Allora, caro mio, appuntamento alla Vucciria tra mezz’ora!
- Devi fare la spesa?
- Ma no, è Diogene che si trova al mercato. È il suo quartier generale, dal quale si allontana molto raramente. Lì mangia, dorme, studia e offre occasionali consulenze.
- Consulenze di che tipo?
- Di tutti i tipi, a quanto pare. La sua è una saggezza salomonica a trecentosessanta gradi.
- Non è che mi stai portando da un ciarlatano? Uno che predice il futuro, fa gli scongiuri, toglie il malocchio e cose del genere...
- Fidati. Non te ne pentirai.
- Speriamo, d’altronde mi pare che non abbiamo molte altre carte da giocare.
- Questa è una carta buona, credimi.
- Un asso...
- Di più: un jolly. Un’enciclopedia vivente e un computer in carne ed ossa.
- Sì, vabbé... un demiurgo onnisciente...
- Quasi. Diciamo un genio… il genio di Palermo.

***

Per leggere le puntate precedenti:

Il duplice assassino di Via della Clessidra /1